giovedì 29 novembre 2018

Dollaro debole sui mercati dopo l'intervento di Powell

Le parole del presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, avevano frenato lo slancio del dollaro americano, che anche oggi sta perdendo quota contro le principali valute.

Le parole di Powell e il dollaro

Il numero uno della FED nel suo discorso di ieri ha ammorbidito i toni della posizione ufficiale sulla politica monetaria. Powell ha affermato che il costo del denaro Usa si trova ad un livello “appena al di sotto” della neutralità. Una frase che alle orecchie degli investitori è suonata come una mezza marcia indietro rispetto al percorso di stretta monetaria che pareva tracciato sinora. In sostanza non è affatto sicuro che il prossimo anno ci saranno altri 3 rialzi dei tassi di interesse. Anzi, attualmente il consensus di mercato è per due nuovi interventi restrittivi da parte della Fed, di cui uno nel meeting del mese prossimo.

Sui miglior broker di trading online autorizzati abbiamo visto che il Dollar index - dopo una discesa fino a quota 96,626 - ha poi recuperato terreno e si è riportato oltre 97, per poi arretrare nuovamente sotto questo livello.

Gli eventi clou in calendario

L'attenzione degli investitori è orientata alla pubblicazione delle minute della banca centrale di Washington, in calendario oggi.

Suggerimento: studiate bene gli strumenti prima di fare trading online. Qui ad esempio è illustrata la strategia fibonacci forex trading.

I mercati stanno mantenendo un atteggiamento di cautela comunque, perché è ormai imminente il vertice del G20 di Buenos Aires. I presidenti di Usa e Cina, Donald Trump e Xi Jinping, s’incontreranno per parlare dei temi commerciali, che hanno creato tensioni propagatesi a tutti i mercati. Al momento non c'è alcuna schiarita in vista, e proprio questo ha indotto gli investitori a non abbandonare gli asset considerati sicuri, come il dollaro, in favore degli investimenti più rischiosi.

martedì 27 novembre 2018

Azienda Pernigotti salva? Non ancora, ma c'è una speranza

Per una delle storiche aziende italiane di maggior successo, la Pernigotti, si apre una doppia speranza. Nelle scorse settimane la holding turca Toksz, che ha in portafoglio l'azienda italiana, ha avviato la procedura per la chiusura dello stabilimento storico nell'alessandrino, giacché intenzionata a spostare la produzione addirittura in Turchia.

L'incontro per salvare l'azienda

Ma da ieri c'è una schiarita. L'incontro avvenuto tra il premier Conte, il vicepremier Di Maio e la proprietà turca Toksz ha prodotto un risultato. Infatti Pernigotti sospende fino al 31 dicembre la procedura di licenziamento dei 100 addetti dello stabilimento di Novi Ligure e apre con il Governo un percorso intorno all'ipotesi di reindustrializzazione dello stabilimento di Novi Ligure. Il gruppo turco farà richiesta di cassa integrazione per reindustrializzazione - e non ristrutturazione come nell'ipotesi originaria - per garantire che i dipendenti abbiano l'ammortizzatore sociale. Verrà inoltre nominato un soggetto terzo che si occuperà di verificare quali opportunità produttive ci sono nel sito italiano del Gruppo.

L'ipotesi Sperlari

Sempre ieri era parsa concreta anche un'altra ipotesi. Il famoso gruppo Sperlari si sarebbe infatti fatto avanti per acquisire sia lo stabilimento di Novi Ligure che il marchio della famosa impresa dolciaria. Sperlari (di Cremona) a metà dello scorso anno è entrata a fare parte della tedesca Katjes international. Quest'ultima non ha ne' confermato ne' smentito la notizia, anche perché l'iniziativa sarebbe partita direttamente dall'azienda italiana. Al di là dell'aspetto romantico dell'operazione, la stessa avrebbe sorpattutto un fortissimo valore economico strategico. L'integrazione di un marchio celebre come Pernigotti con un altro brand storico come Sperlari (che possiede Saila, Galatine, Dietor e Dietorelle) sarebbe un gran colpo.

L'incontro col governo e il nuovo dialogo con la Toksz, però sembrano raffreddare l'ipotesi di una disponibilità dell'azienda a cedere le attività italiane legate al brand Pernigotti, almeno nei prossimi mesi.

sabato 24 novembre 2018

Franco svizzero, il futuro dipende molto dal contesto globale

Il Franco svizzero continua ad aver un andamento divergente rispetto a euro e dollaro. Nei confronti della valuta unica guadagna terreno da un bel po' di settimane, mentre il contrario succede contro la valuta americana.

Per capire cosa sta succedendo e cosa potrebbe succede al franco svizzero, occorre sottolineare che non si tratta di una valuta qualunque. Infatti esplica il ruolo di valuta rifugio, per cui è attenzionata dai trader soprattutto quando il clima generale è teso e si adottano delle strategie di tipo difensivo. In pratica in un contesto ad alto rischio e con la volatilità fuori controllo, il franco svizzero rappresenta un porto sicuro. E nel contesto attuale qualche turbolenza c'è eccome. Basta pensare alla guerra commerciale Usa-Cina oppure alla tensione che c'è tra Roma e Bruxelles riguardo alla manovra economica.

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L'incidenza dei dati marco sul franco svizzero

Però questo non basta per poter prevedere una crescita in futuro. Ci sono anche i fattori macro. Le stime sul paese elvetico per il prossimo anno sono positive. La crescita dell'economia svizzera potrebbe giungere all'1,7 per cento, che è un valore assolutamente positivo anche se sarebbe un calo rispetto al 1,9% previsto per quest'anno. L'economia svizzera resta in salute, e questo avrà un impatto sulle quotazioni del Franco. Tenuto conto dell'andamento attuale, si potrebbe ipotizzare un ritorno del cambio Euro Franco Svizzero a quota 1,10, valore raggiunto nell'agosto dell'anno scorso. Attualmente la coppia è a 1,13.

Riguardo invece al rapporto con il dollaro, va precisato che nel corso del 2018 la quotazione del Franco ha superato la parità (occhio sempre all'Indicatore relative vigor index RVI), ma fino a poco tempo fa la situazione era pià difficile. Non c'è da stupirsi se c'è chi prevede un ritorno al prezzo di 1,1 ma molto dipenderà dal rito di aumenti dei tassi che la FED farà il prossimo anno, cosa che solo a dicembre sapremo con maggiore chiarezza.

mercoledì 21 novembre 2018

Spread alto, il contraccolpo sarà su titoli di Stato e banche

Lo spread continua ad essere il termine più temuto delle ultime settimane, se non mesi. Colpa degli intrecci tra politica ed economia, che hanno reso molto nervosi i rapporti tra Italia e Ue, che proprio oggi ha deciso di bocciare la nostra manovra economica.

Le conseguenze dello spread

Lo spread - ovvero la differenza tra il rendimento dei titoli di stato Italiano (Btp a 10 anni) e i titoli di stato tedeschi (bund a 10 anni) - è praticamente raddoppiato negli ultimi mesi. Il giorno dopo le elezioni della scorsa primavera era a 137 punti, adesso sfora i 300 punti. Ma cosa accade quando sale lo spread, e quali ripercussioni potrebbero esserci nella nostra vita di tutti i giorni? A dispetto di quello che si sente,al momento non comporterà nessun aumento delle rate di mutui e prestiti. Ma ciò non vuol dire che non ci saranno delle ripercussioni sulle nostre vite.

Il primo problema è per i conti dello Stato. Uno spread alto significa che i titoli di stato italiani sono considerati più rischiosi, e quindi devono essere resi "appetibili" con rendimenti molto più alti di quelli tedeschi. L’Italia sarà cioè costretta a finanziare il suo enorme debito pubblico (oltre 2.300 miliardi di euro) emettendo nuovi titoli con interessi più alti. Tutto ciò farà crescere ulteriormente il nostro debito pubblico.

Non c'è invece alcuna conseguenza diretta sui mutui alle famiglie. Questi tassi infatti vengono decisi dalle banche con cui si stipula il mutuo. Nel breve periodo non c'è nulla da temere. Nel lungo termine invece qualcosa potrebbe cambiare per i nuovi contratti. Lo spread alto infatti inciderà sui bilanci delle banche italiane, che hanno nei loro portafogli un’ingente quantità di titoli di Stato. Per riequilibrare i bilanci, aumenteranno i costi dei servizi e probabilmente irrigidiranno la politica di concessione dei finanziamenti. Un ulteriore colpo per la crescita economica.

lunedì 19 novembre 2018

Mercato del greggio sulle montagne russe: prima sale, poi crolla ancora

Dopo lunghissimi giorni di calo, il greggio sembrava avere temporaneamente invertito la rotta. Per il quarto giorno di fila infatti, la quotazione dell'oro nero stava risalendo. La gioia però è durata poco, visto che nel pomeriggio l'oro nero è nuovamente crollato.

Le voci che agitano il mercato del greggio

A spingere la quotazione del petrolio erano state le prospettive che l’Arabia Saudita faccia pressione sull’Opec per ridurre la produzione. I sauditi vorrebbero che tutti i Paesi aderenti riducano la produzione di un milione a 1,4 milioni di barili al giorno per evitare un aumento delle scorte. Un'ipotesi che sembra trovare d'accordo anche la Russia, pronta a sua volta a tagliare le forniture per la fine dell’anno.

Questa eventualità stava spingendo le quotazioni del greggio sui mercati. A metà giornata il contratto sul Brent saliva di 15 cent a 66,95 dollari. Il greggio leggero Usa Wti guadagnava invece 19 cent a quota 56,65. Poi c'è stata una nuova inversione di rotta, con i prezzi che sono ridiscesi in modo pesante, con perdite di oltre un punto percentuale tanto per il Brent che per il WTI. Va ricordato che il mercato del petrolio continua ad accusare un pesantissimo calo nell'ultimo mese e mezzo. Ad esempio il Brent è quasi il 25% sotto il picco di ottobre a 86,74 dollari. Chi fa trading con medie mobili ha potuto vedere il prezzo attraversare le medie di diversi periodi.

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Il mercato si muove con cautela e soprattutto continua a monitorare attentamente il possibile impatto di un taglio alle forniture. Al momento questa ipotesi sembra essere presa con molta considerazione, ma è chiaro che soltanto dopo il meeting del prossimo 6 dicembre si potrà sapere se si andrà in questa direzione oppure no.

sabato 17 novembre 2018

Fatturazione elettronica, il Garante dice no: "viola la privacy"

Quando manca poco più di un mese all’entrata in vigore dell’obbligo di fatturazione elettronica, il Garante della Privacy ha emesso un provvedimento nei confronti dell’Agenzia delle Entrate: non è pienamente in linea con la normativa in materia di protezione dei dati personali. Per questo motivo va ripensata, e si aspetta che l'Agenzia risponda con urgenza sugli accorgimenti che intende adottare per risolvere il problema. Questo intervento del Garante è il primo che sfrutta il nuovo "potere di avvertimento", attribuito dal Regolamento europeo.

Le criticità della fatturazione elettronica

fatturazione elettronicaRicordiamo che l'obbligo di fatturazione elettronica verrà esteso dal 1 gennaio 2019 anche ai rapporti tra fornitori, nonché tra fornitori e consumatori. Secondo il Garante questo obbligo implica un trattamento sistematico, generalizzato e di dettaglio di dati personali su larga scala. Questo trattamento inoltre è potenzialmente relativo ad ogni aspetto della vita quotidiana dell'intera popolazione, e questo lo rende del tutto sproporzionato rispetto all'obiettivo di interesse pubblico, pur legittimo, perseguito.

Per fare un esempio, quando l'Agenzia recapitato una fatture come "postino" attraverso il sistema di interscambio (SDI), oltre ai dati necessari per fini fiscali finisce per archiviare anche i dati sui beni e servizi acquistati. Questo significa venire a sapere le abitudini e le tipologie di consumo, legate alla fornitura di servizi energetici e di telecomunicazioni o addirittura la descrizione delle prestazioni sanitarie o legali. Ne consegue che esiste un fortissimo rischio di mancata tutela dei diritti e delle libertà degli interessati, con conseguente potenziale rischio che un'enorme quantità di dati sensibili possa essere gestito con finalità non sempre appropriate.

Molti rilievi sollevati dal Garante sono peraltro già stati condivisi dagli operatori del settore. L'Ordine dei Commercialisti ha sempre chiesto una maggior gradualità. Finora dall’Agenzia delle Entrate si limitano a dire che risponderanno al Garante nel più breve tempo possibile, e che comunque è ancora presto per parlare di rinvio dell’obbligo. Anche perché spetterebbe comunque a una nuova norma farlo.

giovedì 15 novembre 2018

Mercato delle criptovalute sotto pressione, sell-off diffuso per tutte le altcoin

Una bella scossa ha fatto tremare il mercato delle criptovalute. Il Bitcoin è infatti improvvisamente crollato sotto quota 6000 dollari, toccando il valore più basso da 13 mesi a questa parte.

Le ragioni del crollo del mercato delle criptovalute

La valuta virtuale più famosa del mondo ha accusato una perdita violenta, innescato dalle ultime notizie relative al Bitcoin Cash. Il BTC (criptovaluta nata proprio dal BTC nell’agosto 2017 con lo scopo di processare un numero più elevato di transazioni) si prepara ad un hard fork per giovedì 15 novembre. Solitamente questo finisce per dare una spinta al mercato delle criptovalute, ma stavolta è successo l'opposto. L'hard fork del Bitcoin Cash infatti è stato accolto nel modo peggiore dal mercato perchè l'operazione è poco chiara. Nessuno sembra essere d'accordo su questo upgrade, e questo potrebbe minare solidità e unità della comunità.

I dati dello scivolone

Si è diffuso così un sentimento di avversione al rischio sul mercato delle criptovalute, che avrebbe finito per travolgere tutti. Il Bitcoin ha infranto il supporto dal forte valore psicologico a quota 6000, poi è sceso fino a 5312 ma successivamente ha tentato il recupero dei 5.500 (è interessante osservare questo andamento con un grafico Heikin Ashi strategie). La capitalizzazione inoltre è precipitata sotto i 100 miliardi di dollari. Infatti non è andata meglio alle altre criptovalute, tutte coinvolte in questo scenario ribassista. Ethereum ha perso oltre il 14% e le cospicue vendite di ieri l'hanno riportato al di sotto del supporto a 200 dollari, facendo registrare nuovi minimi a 60 giorni. Ripple più dell’11%.

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Il crollo sul mercato delle criptovalute ha portato i livelli di capitalizzazione sotto quota 200 miliardi di dollari. Questo è sintomatico del fatto che sulle criptovalute sia un corso un vero e proprio sell-off. A un solo anno dai record registrati da Bitcoin, Ethereum e Ripple, per BTC, ETH e XRP, la realtà di oggi è completamente diversa.

martedì 13 novembre 2018

Reddito di cittadinanza: a Napoli ben 230mila famiglie aventi diritto

Una delle misure più discusse previste dal contratto di governo Lega-M5S è senza dubbio il reddito di cittadinanza. Per esso sono previsti 9 miliardi di spesa pubblica annui a decorrere dal 2019.

A chi andrà il reddito di cittadinanza

Ma dove andranno a finire queste somme? Al momento previsioni certe non si possono fare, visto che i paletti esatti non sono ancora stati fissati. Tuttavia il Sole24Ore ha fatto delle stime in base ai dati storici dell’Isee ordinari presentati in Italia nel 2016 (ultimo dato disponibile) e monitorati dal ministero del Lavoro.

La cittadina con la maggiore percentuale di beneficiari rispetto alla popolazione totale è Crotone. Nella città calabrese infatti una famiglia su 4 rientrerebbe nei parametri ISEE (ovvero minore di 9360 euro annui) tali da far scattare il diritto al reddito di cittadinanza. Per la precisione, il 27,9% delle famiglie residenti ne avrà diritto. Poco distaccata c'è Napoli, dove una famiglia su 5 rientra nel raggio di applicazione della misura assistenziale (lo stesso vale per Palermo e Caltanissetta). Nel capoluogo campano inoltre si registra il record del numero di beneficiari, ben 230mila famiglie).

Proseguendo nella Top10 ci sono anche Medio Campisano (18,6%); Catanzaro (18,4%); Catania (18%); Caserta (17,9%); Barletta (17,5%); Reggio Calabria (16,9%). Tutte città del Sud (dove complessivamente c'è il 49% degli aventi diritto). Al Nord invece si concentrano le città col minor numero di aventi diritto. Fanalino di coda è Bolzano, dove soltanto 2 persone su 100 soddisfano i requisiti del reddito di cittadinanza.

L'importo medio del reddito di cittadinanza

A livello di risorse invece, i 780 euro indicati come obiettivo sono molto lontani. Tenuto conto della platea degli aventi diritto, a ognuno di essi dovrebbero andare in media 294 euro mensili. Siamo anche sotto i 305 euro che sono oggi il valore medio del reddito d’inclusione (che però finisce nelle tasche di un numero di soggetti sei volte minore).

sabato 10 novembre 2018

Tassi di interesse, la RBNZ cambierà qualcosa?

Nella notte tra giovedì e venerdì la Reserve Bank of New Zealand ha lasciato invariati i tassi di interesse ai minimi dell'1,75%, livello che si mantiene invariato da circa due anni (a novembre 2016 ci fu un taglio di 25 punti base). La decisione è stata prevista dagli economisti. Tuttavia, il tono sembra essere più ottimista.

Cosa cambia per i tassi di interesse

Anche se nelle dichiarazioni di accompagnamento l'istituto centrale di Wellington ha ribadito di voler lasciare il costo del denaro su questi livelli per tutto il prossimo anno, qualcosa sembra muoversi. Dalle dichiarazioni della RBA è infatti scomparsa l'indicazione riguardo la prossima mossa sui tassi di interesse ("potrebbe essere verso l'alto o verso il basso"), il che potrebbe far pensare ad un orientamento più aggressivo. A sostenere questa possibilità sono peraltro i dati macro e le prospettive economiche future.

La crescita più rapida di quest'anno e di quella successiva, così come il continuo miglioramento del mercato del lavoro, hanno permesso alla RBNZ di alzare le previsioni di inflazione. Il governatore Orr ha segnalato che le forti perdite per il Dollaro neozelandese quest'anno, daranno sostegno all'economia rendendo le esportazioni più competitive. Inoltre il mercato del lavoro ha raggiunto il suo "massimo livello sostenibile". Cosa positiva per le prospettive dei tassi d'interesse, che si sono scurite nel 2018 grazie alla debolezza dei prezzi al consumo e all'incertezza sull'economia.
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Tassi di interesse e mercati

Ricordiamo che dopo aver a lungo tenuto in conto l'ipotesi di un ulteriore taglio dei tassi di interesse, dopo i dati macro molto positivi qualche settimana fa sui mercati era avanzata l'ipotesi opposta, ovvero di una mossa restrittiva già a metà 2019. I dati economici migliori hanno quindi spinto gli speculatori ad abbandonare alcune delle loro scommesse contro la valuta Kiwi.

Dall'inizio di novembre infatti il dollaro neozelandese ha marciato spedito contro il dollaro USA (ma anche contro l'euro), con un Adx indicatore trading forex che ora invia segnali rialzisti. La coppia Nzd-Usd ha guadagnato più del 5% nell'ultimo mese ed è arrivata a 0.673, dopo aver toccato i massimi da inizio agosto. Solo nel finale di settimana c'è stato un lieve calo, probabilmente innescato dal rallentamento dell'inflazione dei produttori in Cina, il principale partner commerciale della Nuova Zelanda. Va però ricordato che dall'inizio dell'anno il cross Nzd-Usd è però in calo del 4,25%.

giovedì 8 novembre 2018

Produzione, con la Pernigotti se ne va un altro pezzo d'Italia

La chiusura della storica azienda di cioccolato Pernigotti è solo l'ultimo capitolo di una serie di colpi al cuore della produzione made in Italy. Martedì i sindacati, al termine di una riunione con i vertici dell'azienda, hanno comunicato l'abbandono dello stabilimento italiano di Novi Ligure. Tradotto: 100 lavoratori perderanno il posto mentre altrettanti verranno dirottati altrove.

Produzione flop nelle mani turche

produzione pernigottiL'azienda di produzione dolciaria fondata nel 1860 era passata al gruppo turco Tuksoz nell'estate del 2013, ceduta dalla Fratelli Averna. All'epoca parlando dello storico marchio che identifica nel mondo la gianduia e il torrone italiano, la nuova proprietà annunciò la volontà di sviluppare l'attività in nuove e interessanti aree geografiche, sfruttando la forza del marchio Pernigotti.

Il punto è che nello stabilimento italiano non è stato mai investito un solo euro. Inoltre in 5 anni sono stati accumulati 13 milioni di perdite. Un fatto che il Sindaco ha definito "inspiegabile, visto che il settore dolciario tira ancora". Inoltre in questi ultimi anni diversi tipi di produzione erano già state trasferite in Turchia, e c'erano state flessioni anche nel comparto dei preparati per gelato, di cui la Pernigotti ha sempre vantato la leadership.

Fa ancora più male sapere che non sono stati i proprietari a comunicare la decisione, ma semplici emissari di uno studio milanese ingaggiato poche settimane fa dopo l’allontanamento dell’amministratore delegato Massimiliano Bernardini.

I danni degli investitori stranieri

La gestione turca in sostanza è stata drammaticamente disastrosa. E l'epilogo è identico a quello visto per altre storiche aziende italiane: le proprietà straniere prima comprano e poi licenziano e chiudono, mantenendo però la proprietà del marchio che spesso è prestigioso (come in questo caso), e vanno poi a produrre all'estero. Il tutto a danno dei lavoratori e della qualità dei nostri prodotti. E' recentissima ad esempio Cla chiusura della fabbrica di Torino HAG e Splendid.

Di tutti gli impiegati nella fabbrica di viale Rimembranza, soltanto pochi si salveranno. Sono quelli del settore commerciale, che però dovranno trasferirsi a Milano. In città è già partita la mobilitazione della città che non ci sta a perdere un patrimonio di storia e tradizione, mentre i sindacati stanno intraprendendo tutte le iniziative volte a contrastare questa scelta. I lavoratori hanno indetto uno sciopero a oltranza e l'assemblea permanente. Ma intanto l'azienda ha già fatto partire la richiesta di cassa integrazione straordinaria da dicembre fino al novembre del prossimo, per «parziale cessazione dell’attività aziendale».

martedì 6 novembre 2018

Banca centrale d'Australia, niente ritocco dei tassi ma la stretta si avvicina

La scorsa notte la Reserve Bank of Australia ha deciso di mantenere il suo tasso di interesse di riferimento invariato all'1,50%, ovvero al livello al quale si trova da agosto 2016. L'ultima volta che la banca centrale ha operato un intervento tagliò il costo del denaro di 25 punti base (minimo storico per il 26esimo incontro consecutivo).

La mossa della banca centrale

Nel corso della conferenza di accompagnamento (l'evento più interessante per chi adotta strategie trading giornaliero Forex), il governatore della banca centrale Philip Lowe ha spiegato che il board ha valutato che il mantenimento dei tassi ai livelli attuali è considerato coerente con la crescita sostenibile dell'economia dell'Australia e con il raggiungimento nel tempo dei target d'inflazione, sebbene tali progressi saranno probabilmente graduali. In sostanza la posizione rimane analoga a quella già assunta in occasione dei precedenti meeting.

Circa le previsioni macro invece c'è stato un ritocco. Dopo aver evidenziato che l'economia australiana ha registrato buoni risultati (crescita del PIL del 3,4% e tasso di disoccupazione in calo al 5% nell'ultimo anno), la RBA ha rivisto le sue previsioni di crescita economica per il 2018 e il 2019. La crescita economica dovrebbe essere intorno al 3,5% in questi due anni, prima di rallentare nel 2020 a causa della più lenta crescita delle esportazioni di risorse. Proprio questi ritocchi al rialzo fanno pensare che la banca centrale australiana si sta avvicinando alla politica restrittiva.

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Sotto il profilo valutario, il divario tra i commenti da falco della Federal Reserve e quelli prudenti della Reserve Bank of Australia (RBA) hanno provocato un recente calo del dollaro australiano, che di recente ha toccato un minimo di pluriannuale contro l'USD. Ricordiamo che la valuta australiana è una cartina al tornasole della propensione al rischio che c'è sui mercati, e tra gli spettri di guerre commerciali e tensioni geopolitiche varie, non ha certo trovato gran sostegno. Quello che invece gli hanno dato una serie di forti dati locali e flussi di fondi da carry trades. Ma è importante sottolineare che l'ambiente globale continua a dominare le mosse, e potrebbe richiedere un pedaggio sul dollaro australiano.

venerdì 2 novembre 2018

Economia italiana, comincia il tour de force per la Legge di Bilancio

Il futuro prossimo dell'economia italiana, che ha appena evidenziato un rallentamento della crescita dopo 3 anni, è aggrappato al percorso a ostacoli che dovrà affrontare la Legge di Bilancio. Il testo è giunto con un ritardo di due settimane in Parlamento, dove è in corso il primo passaggio di un iter che - se tutto va bene - dovrà chiudersi entro fine anno con l'approvazione. Lo slalom tra esami europei e parlamentari è appena cominciato. 

L'economia italiana e l'iter della legge di bilancio

La legge di Bilancio è il fulcro attorno al quale gira l'economia italiana, poiché da essa dipendono i conti pubblici per l'anno che verrà e gli obiettivi finanziari da perseguire nei successivi 3 anni. Attualmente il provvedimento è all'esame della Commissione Bilancio della Camera, che avrà circa un mese di tempo per esaminare il testo e votare gli emendamenti, dopo il classico ciclo di audizioni che potrebbe tenersi tra la fine della prossima settimana e l'inizio della successiva.

Nel frattempo però le cose continuano a muoversi anche sul fronte europeo. La nostra manovra è già stata bocciata dalla UE. A inizio settimana prossima il 'caso Italia' sul tavolo approderà all'eurogruppo, dove il ministro dell'Economia Tria si confronterà con 18 colleghi (che non la pensano come lui). L'8 novembre la Commissione UE pubblicherà le previsioni economiche aggiornate, che terranno già conto dei saldi inseriti dall'Italia in manovra. Daranno quindi un'idea aggiornata degli scostamenti dagli obiettivi e dell'impatto delle misure italiane sulla crescita.

La dead line fissata dalla UE

Una data cruciale però sarà il 13 novembre, ovvero il termine ultimo fissato da Bruxelles per ricevere una nuova bozza della legge di bilancio e anche la relazione con i 'fattori rilevanti' che, secondo l'Italia, giustificano lo scostamento dagli obiettivi. Questo passaggio potrebbe spianare la strada a una procedura di infrazione, che potrebbe già arrivare il 21 novembre, giorno in cui la Commissione pubblicherà il parere definitivo sulla legge di bilancio. Essa potrebbe comportare una multa fino allo 0,2% del Pil.

Per l'economia italiana la successiva data da cerchiare sul calendario è 29-30 novembre, quando la manovra passerà per la prima volta in Aula alla Camera. A dicembre la manovra approderà prima in Commissione Bilancio e poi all'aula del Senato per la seconda lettura. Il termine ultimo per l'approvazione definitiva è quello del 31 dicembre.