martedì 11 settembre 2018

Lavoro, mezzo milioni di giovani è troppo qualificato rispetto a ciò che fà

Il mondo del lavoro in Italia continua ad essere caratterizzato da un paradosso dannoso: si studia per imparare una professione, ma si finisce per fare tutt'altro e spesso si tratta di qualcosa di meno qualificato rispetto al proprio percorso formativo. Questo gap rimane molto forte soprattutto nei primi anni successivi al completamento del percorso di studi.

I dati sul mondo del lavoro

A fotografare la situazione è l'Istat, che ha analizzato la situazione dei lavoratori laureati tra i 25 e i 34 anni (1,1 milioni) e quelli diplomati tra i 20 e i 24 (678mila). Su un totale di quasi 1,8 milioni di lavoratori, ben 437mila hanno un titolo di studio più elevato rispetto a quello richiesto per svolgere il loro lavoro. C'è il laureato con 110 e lode in scienze politiche che saltuariamente lavora per una cooperativa sociale. C'è il portapizza che possiede una laurea in filosofia, ma poi ci sono baby sitter, badanti, addetti alle pulizie, traduttori di testi e così via... Negli anni più recenti, la maggior parte di essi ha trovato sbocchi nella gig economy, ovvero i “lavoretti”. Sono circa 600-750mila i lavoratori che svolgono questo tipo di attività in Italia.

Peraltro il numero dei "sovraformati" è cresciuto nell'ultimo decennio. Nel 2008 era 372mila, mentre nel 2015 era 398mila. Il fenomeno è più presente per i laureati (28% contro il 18% dei diplomati), ma è logico che sia così dal momento che più alto è il grado di istruzione, maggiore è il rischio di trovare un lavoro sottoqualificato rispetto alle proprie competenze. Nell'abito dei laureati c'è poi una certa variabilità a seconda dell’indirizzo prescelto. Si va dal minimo dei medici (10,6%) al massimo di laureati in area umanistica e nelle scienze sociali (entrambi intorno al 36%).

Esiste quindi un cortocircuito tra il mondo formativo e quello del lavoro. Le imprese cercano soprattutto competenze tecniche e non le trovano, finendo così per utilizzare i giovani con lauree “deboli” per mansioni di basso livello. Dall'altra parte il percorso scolastico e di formazione è troppo lento nel rispondere ai continui cambiamenti del mercato. Da qui nasce un vuoto, nel quale finiscono i giovani italiani che cercano un futuro nel mondo del lavoro.

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