lunedì 31 agosto 2020

Commodity: il caffé si sta riprendendo ma ci sono alcune cose che frenano gli investitori

Nell'ultimo periodo, diverse commodity hanno marciato al rialzo e si sono allontanate dai minimi pluriennali. Un esempio è il caffè, che ha chiuso settimana scorsa a 126,35. Il fatto che diverse materie prime stiano seguendo una traiettoria al rialzo, fa immaginare che ciò possa essere conseguenza di un’economia che potrebbe riprendersi dopo i disastri da Covid. Del resto le curve predittive dell’economia globale, evidenziano che già dall’ultimo trimestre di quest’anno, al massimo il primo del successivo, il ritmo della ripresa potrebbe accelerare.

Le commodity: il caffé

commodity investimenti

Tornando al mercato del caffé, ci sono però ancora tre elementi che preoccupano gli investitori. Anzitutto un fattore climatico. Il fronte freddo che si sposta da sud a sud-est, porta basse temperature e pioggia nelle principali zone produttrici di caffè del Brasile, che è il leader mondiale di questa commodity. Tutto da definire però è l'impatto che questo potrebbe avere sulla produzione. Chiaramente meno prodotto significa pressione al rialzo sui prezzi.

In secondo luogo l'andamento del dollaro rispetto al real brasiliano. La valuta sudamericana si è costantemente indebolita rispetto al dollaro USA dal 2011, il che ha pesato sul prezzo dei chicchi di caffè. Un rimbalzo del real brasiliano rispetto al dollaro USA potrebbe avere l'effetto opposto. In questo senso bisognerà tenere d'occhio la correlazioni forex tra valute correlate. In terzo luogo la situazione dei futures in scadenza a settembre sulla piazza di New York.

Il prezzo volatile

Nel frattempo, dall'inizio dell'anno il prezzo della commodity caffé ha ballato parecchio. Ha registrato infatti un minimo a 96,30 (giugno) e un massimo a 137,80. Le candele Heikin ashi evidenziano una slancio del prezzo. Non c'è dubbio che nelle ultime settimane c'è stata una ripresa, con diversi pattern che costruiscono una base solida per la ripartenza di lungo termine.

mercoledì 26 agosto 2020

Wall Street senza pietà: Exxon Mobil sbattuta fuori dal Dow Jones dopo quasi cent'anni

A Wall Street finisce un'epoca. Dopo quasi un secondo di storia tutta da raccontare, Exxon Mobil finisce fuori dall'indice Dow Jones, il più famoso listino al mondo. E come accade tipicamente nel mondo della finanza, sono i freddi numeri a decretare la fine della storia, senza alcun pathos, senza alcuna pietà. Sbattuta fuori e stop.

Si volta pagina a Wall Street

wall street
Exxon Mobil - prima compagnia petrolifera occidentale - abbandonerà il listino di Wall Street che raggruppa l'elite delle imprese, quello che include 30 delle aziende più famose al mondo. Aveva debuttato nel 1928. Si troverà in compagnia di altre due società meno famose, ovvero il gigante farmaceutico Pfizer e a Raytheon Technologies. Il loro posto verrà preso dal fornitore di software Salesforce.com, la biotech Amgen e Honeywell International (una che a sua volta venne buttata fuori dopo 83 anni di permanenza, e che ora ci tornerà).

Il tracollo del primo semestre

Eppure c'è stato un tempo in cui Exxon Mobil è stata la regina dell'indice, avendo il valore di Borsa più alto al mondo. E non è manco troppo indietro nel tempo, visto che parliamo degli anni 2003-2011. Poi le cose sono cambiate, anche se ancora oggi la sua capitalizzazione è elevatissima, circa 180 miliardi di dollari. Quest'utlima ha subito un tracollo negli ultimi mesi, perché se a inizio anno superava di 300 miliardi, il brusco calo del petrolio durante la crisi pandemica ha spinto al ribasso il titolo.

La scelta del Wall Street Journal

L'uscita dal Dow Jones però è frutto non della capitalizzazione in calo, ma del prezzo dell'azione. Infatti a differenza dell'indice S&P500, i membri del paniere non vengono determinati dalla capitalizzazione bensì dal prezzo delle azioni, fattore sul quale avviene la scelta del paniere da parte della redazione del “The Wall Street Journal”. Che ha deciso di chiudergli la porta in faccia, salvando soltanto Chevron come società operante nel settore oil.

lunedì 24 agosto 2020

Diversificazione, oggi è diventata ancora più importante rispetto a qualche mese fa

Mai come in questo periodo di profonda incertezza, è necessario procedere ad una attenta diversificazione del proprio portafoglio. Generalmente gli investimenti che offrono questa possibilità sono i Bund, i Treasury, oro e alcune valute. E' qui che si rifugiano i trader in tempi di incertezza.

La diversificazione rimane necessaria

Per quanto riguarda i titoli di Stato, in questa fase i rendimenti si trovano ai minimi storici. Malgrado da parte delle banche centrali ci sia un forte supporto, i prezzi si sono mossi davvero poco negli ultimi due mesi. Riguardo al loro potenziale di protezione, tutto dipende da come si svilupperà la pandemia. Una seconda nuova ondata di panico sui mercati, finirebbero per ridurre l'appeal di questi titoli come strumento di protezione.

Oro ha corso troppo

Per quanto riguarda il safe haven per eccellenza, ossia l'oro, non si può negare che che sia stato protagonista di una notevole corsa quest’anno. Il prezzo ha superato i 2000 dollari l’oncia. Proprio questo eccessivo rialzo induce ad essere prudenti, perché il prezzo è senz’altro ben più alto dei costi di estrazione, il che lo rende a rischio calo. Ciò vale soprattutto qualora dovessero attenuarsi i motivi che lo hanno di recente spinto al rialzo.

Valute ancora utili

Infine ci sono le valute, un tipo di asset class che ha sofferto il recupero dei mercati finanziari a partire da fine marzo. Molte valute emergenti si sono indebolite a causa della forte recessione indotta dal Covid. Le valute rifugio come Dollaro Usa, Yen giapponese o Franco svizzero hanno perso utilità, mentre il sentiment migliorava grazie ai crescenti aiuti fiscali e monetari (si guardino in proposito le previsioni cambio euro franco svizzero). Fino ad allora queste monete avevano offerto una notevole diversificazione e protezione.

Nota operativa: chi non scappa dal rischio, ma anzi adotta strategie più aggressive di investimento, potrebbe essere interessato a trovare la migliore piattaforma per scalping forex.

Tuttavia, le valute potrebbero ancora offrire un buon contributo in termini di diversificazione rispetto ai tradizionali investimenti in obbligazioni e azioni. Bisogna però ricordare che ci sono incognite politiche da entrambe le sponde dell’Atlantico, per cui potrebbe essere più saggio investire in un paniere diversificato di valute. In questo caso la gestione attiva e anche tattica è particolarmente importante.

giovedì 20 agosto 2020

Mercato azionario, il decennio da urlo di Apple lo spinge sui 2000 miliardi di capitalizzazione

Apple ha appena segnato un nuovo record sul mercato azionario, ma molti analisti pensano che la sua corsa non si fermerà qui. Il titolo dell'azienda di Cupertino, che è cresciuto di oltre il 50% nel 2020, ha raggiunto una capitalizzazione di mercato di 2.000 miliardi di dollari, divenendo la prima società americana a toccare il traguardo.

La corsa di Apple sul mercato azionario

apple mercato azionario
Il titolo di Apple ha toccato brevemente i 467,77 dollari sul mercato azionario, e questo ha spinto la capitalizzazione oltre il muro del nuovo record. Allargando lo sguardo al mondo intero e non solo al mercato americano, soltanto un'altra azienda era riuscita toccato tale livello, la Aramco, il colosso del petrolio saudita.

Appena due anni fa, il mercato azionario aveva festeggiato un primato analogo per Apple. Il 2 agosto 2018 infatti, era stata la prima società quotata della storia della Borsa statunitense a superare la soglia dei 1.000 miliardi di dollari di capitalizzazione. Ci erano voluti 42 anni per arrivare ai 1.000 miliardi, ne sono bastati appena altri due per arrivare ai 2.000 miliardi.

Il successo di Tim Cook

Va detto che l'ultimo decennio è stato eccezionale, legato soprattutto alla crescita innescata dal debutto degli iPhone. I "melafonini" hanno permesso all'azienda di Cupertino di trasformarsi da produttore di nicchia di computer in un colosso globale delle comunicazioni. Eppure erano in molti a non credere nella gestione Tim Cook, l'uomo chiamato a sostituire il cofondatore Steve Jobs, morto nel 2011 all'età di 56 anni per un tumore al pancreas. Cook invece ha saputo sconfiggere gli scettici convinti che l'eredità di Jobs fosse troppo pesante da potere gestire.

In buona compagnia

La corsa sul mercato azionario del colosso di Cupertino non è stata comunque solitaria. Durante la fase del lockdown, tutte le società tecnologiche sono cresciute a tassi impressionanti. Gli investitori infatti hanno puntato forte su queste aziende, nella convinzione che siano un rifugio dalla recessione da pandemia. E così la capitalizzazione di mercato di Apple, Amazon, Alphabet, Facebook e Microsoft è aumentata da marzo complessivamente di 3'000 miliardi di dollari, ovvero quanto le 50 aziende di maggior valore dello S&P 500.

mercoledì 12 agosto 2020

Debito emergente, i rendimenti attraggono ma il rischio rimane molto elevato

Malgrado l'economia globale stia cercando di uscire faticosamente dalla crisi innescata dalla pandemia di coronavirus, alcuni segmenti dei mercati finanziari continuano a soffrire. E' il caso del debito emergente. I fondi di questo tipo non sono ancora guariti dal Covid, e segnalano performance notevolmente negative dall’inizio dell’anno.

Ancora poco appeal del debito emergente

Il popolo degli investitori continua infatti ad essere molto diffidente verso questa categoria di asset. La preferenza al momento continua ad andare ad altri tipi di obbligazioni, in particolare i corporate bond o high yield. Le obbligazioni dei paesi in via di sviluppo invece restano molto indietro nella classifica delle preferenze. Il debito emergente non tira, ne' tra broker market maker o ECN ne' tra i trader indipndenti.

Del resto bisogna anche ricordarsi che il mese di marzo, quello della fase critica della pandemia, è stato uno dei peggiori mesi nella storia per le obbligazioni dei paesi in via di sviluppo. Per loro la crisi ha avuto conseguenze ancora più marcate, visto che la paura che si è scatenata sui mercati ha spinto gli investitori a deflussi estremi, che si sono manifestati con vendite indiscriminate di fondi negoziati in borsa. Il debito emergente ha poi avuto una timida ripresa, che è stata propiziata soprattutto dalle iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali e dai finanziamenti erogati dal Fondo Monetario Internazionale ad alcune nazioni.

I rendimenti da soli non bastano

Tuttavia va anche detto che in mezzo a un panorama fatto di rendimenti depressi, emergono con forza piano le caratteristiche delle obbligazioni emergenti, ovvero quelle di offrire rendimenti potenzialmente superiori. E' chiaro che il debito emergente comporta anche un rischio maggiore rispetto ai titoli governativi dei paesi sviluppati.

Tanto rischio

Infatti rimane sempre uno spesso velo di incertezza riguardo alla capacità delle nazioni emergenti di ripagare i loro debiti. Preoccupazioni che molte volte non sono infondate, purtroppo. Basti pensare al caso dell'Argentina, che ha appena schivato con fatica il suo nono default.
Bisogna infine fare attenzione alle valute, perché i fondi specializzati sul debito emergente possono anche essere in valuta locale, anziché dollaro. In questo caso, il livello di rischio aumenta per via del possibile deterioramento del rapporto di cambio. Vedere ad esempio le previsioni cambio Euro lira turca, e vi renderete conto di che cosa stiamo parlando. Per questa ragione, molti analisti consigliano di destinare solo una piccola parte dei propri investimenti al debito emergente.

lunedì 10 agosto 2020

Turismo, estate flop: stranieri in calo del 75%, gli italiani scelgono il low cost

Sarà un agosto complicato per il settore del turismo. Lo evidenzia una indagine dell'Osservatorio Confturismo-Confcommercio e di Swg, che evidenzia come il principale problema è il durissimo calo di presenze degli stranieri. Ma anche per quelli italiani la situazione rimane incerta. Se è vero che rispetto tra giugno e luglio la propensione degli italiani ad andare in vacanza è salita del 3%, è altrettanto vero che per molti permane incertezza per timore della situazione sanitaria (alla fine di luglio erano il 35%). Nonostante il 'bonus vacanze'.

Estate amara per il turismo

turismo
A causa delle ripercussioni da pandemia, dovrebbe esserci un calo di afflussi dall'estero di ben 25 milioni di turisti, si tratta addirittura di una riduzione percentuale del 75%. La maggior parte di presenze in meno riguarda i cittadini europei, a causa delle restrizioni ai viaggi e agli spostamenti. Ma si sentiranno gli effetti pesanti anche del minore afflusso di visitatori americani e asiatici, che sono quelli possono contare su un più ampio budget di spesa. Insomma per il settore del turismo non sarà una estate semplice.

Il comportamento degli italiani

Sotto il profilo della spesa media, i turisti italiani spenderanno un importo di circa 680 euro a persona. Le vacanze più gettonate sono quelle rilassanti e in famiglia, scelte dal 49% degli intervistati. Per ogni famiglia il costo medio della vacanza sarà sui 1.022 euro. Nella stragrande maggioranza dei casi la destinazione scelta è sul territorio Nazionale, ma una piccola parte (il 20% dei nostri connazionali) non ha ancora prenotato, sia per questioni di carattere economico che per indisponibilità di ferie. Molti di quelli che partiranno entro settembre sembrano intenzionati a decidere come sistemarsi soltanto quando arrivati a destinazione.

Ma ripetiamo, la crisi si fa ancora sentire sui lavoratori.

Motivazioni principali della vacanza

Rispetto allo scorso anno, è crollata la quota dei turisti che in vacanza andranno per motivi culturali, solo 33%. Sicuramente incide il fatto di voler evitare luoghi più affollati come musei e siti turistici. Il crollo maggiore però riguarda il numero di visitatori che dicono di volersi dedicare come prima cosa allo shopping: passano dal 21 al 5%. Cresce invece la quota di chi in vacanza vorrà stare a contatto con le persone care (32%) o immergersi nella natura (32%). Anche questo è un effetto indotto dal lungo lockdown provocato dal Covid.

mercoledì 5 agosto 2020

Prezzo dell'oro oltre i 2000 dollari, la lunga corsa giunge al traguardo o continuerà?

Il prezzo dell’oro ha finalmente sfondato il muro dei 2.000 dollari l’oncia, dopo una corsa che da inizio anno lo ha portato a guadagnare oltre il 30%. Il prezzo del gold metal si sta muovendo al rialzo costante dalla metà di marzo. Da quando cioè siamo entrati nella fase acuta della pandemia, e sono scattati i primi lockdown in Europa.

La corsa del prezzo dell'oro

prezzo dell'oro
Va precisato che se in termini nominali il valore fissato dal metallo giallo a quota 2040 si tratta di un record storico, in realtà non si può ancora parlare di record in valore reale, ossia tenendo conto dell’inflazione. Ma sono dettagli che interessano poco agli speculatori. Le quotazioni del metallo giallo soprattutto nelle ultime tre settimane hanno avuto una poderosa accelerazione. Basta pensare che a metà luglio il prezzo dell'oro era sui 1.800 dollari l’oncia, poi ha stampato una candela Marubozu rialzista.

I driver del gold

L'oro sta beneficiando del suo tradizionale ruolo di bene rifugio, un poco appannato verso inizio anno.
A spingere la corsa del metallo prezioso sono diversi elementi. A cominciare dai rendimenti reali negativi che caratterizzano questo periodo. Ciò rende l’oro, in quanto riserva di valore, più interessante. Il gold però è anche un veicolo per proteggersi dalla inflazione, che erode il valore di ogni asset ad eccezione di quelli che come l'oro riescono a conservare il proprio valore nel breve termine.

Altri fattori di spinta

Un altro fattore che sta trascinando il prezzo dell'oro è la debolezza del dollaro (a proposito, qui si parla delle valute più scambiate e volatili forex). Da diverse settimane il biglietto verde sta perdendo progressivamente forza. Questo sia per i timori legati all’epidemia, sia per l'imminente appuntamento con le presidenziali USA (che danno incertezza), sia per i tassi di interesse reali, sia per la risposta fiscale e monetaria alla crisi. L'oro debole catalizza la richiesta di oro, che è espresso in dollari e quindi diventa più a buon mercato, verso l'alto.

L'oro sta beneficiando anche del suo ruolo di riequilibratore del portafoglio. In pratica per compensare il rischio azionario, gli asset a reddito fisso stanno sempre più facendo fatica a svolgere il compito (a causa dei rendimenti reali). L’oro invece no.

lunedì 3 agosto 2020

Prezzo dei farmaci, svolta contro i Big Pharma che finora facevano come gli pareva

Il prezzo dei farmaci potrebbe finalmente imboccare una traiettoria in decisa discesa in Italia. Il merito è di un provvedimento interministeriale approvato dai ministri della Salute e dell’Economia, che dà attuazione ad una risoluzione approvata dall’OMS nel maggio 2019 (proprio su iniziativa dell’Italia).

L'onere della prova e il prezzo dei farmaci

Di cosa stiamo parlando? Il decreto prevede che la commercializzazione di farmaci a prezzi più alti di quelli già esistenti, necessariamente dovrà essere accompagnata da uno studio sulla loro maggiore efficacia terapeutica. In sostanza alle aziende stesse che li producono spetterà l'onere della prova di un "valore terapeutico aggiunto". Se non provano la maggiore efficacia non potranno chiedere un prezzo dei farmaci più alto. In teoria questo dovrebbe ridurre molti sprechi del Servizio sanitario nazionale, causati dalle prescrizioni di farmaci non necessari o a prezzi ingiustificatamente alti.

Finora le aziende farmaceutiche avevano goduto di ampia libertà di fissare il prezzo dei farmaci, specie quelli innovativi, grazie alle clausole di riservatezza. Tuttavia spesso questi prezzi andavano ben oltre il ragionevole profitto. Adesso invece, per immettere sul mercato dei farmaci a prezzi più alti, sarà obbligatorio avere una forte trasparenza da parte delle aziende.

Maggiore trasparenza

Oltre al valore terapeutico aggiunto, occorrerà anche rendere noti gli aiuti pubblici ricevuti e lo status dei brevetti che proteggono i farmaci garantendone il profitto. Il decreto imporrà alle aziende anche di rendere noto l’importo a cui il farmaco è venduto in altri paesi – mentre oggi spesso il prezzo finale è coperto da clausole di riservatezza. Infine, ogni azienda dovrà fornire annualmente all’autorità regolatoria dati sui profitti e sulle vendite di ciascun farmaco. Il dossier presentato dall’azienda per ogni nuovo farmaco, sarà poi oggetto di valutazione da parte dall’Aifa, Agenzia Italiana del Farmaco.

I medicinali che saranno interessati dal nuovo sistema di autorizzazione all’entrata in commercio, sono quelli rimborsati dal Servizio sanitario nazionale nonché alcuni medicinali di fascia C e Cnn, cioè a carico del cittadino.