giovedì 31 ottobre 2019

Tassi di interesse, la Bank of Japan cambia la forward guidance

Cambio di prospettiva per la Bank of Japan, che nel meeting di politica monetaria della scorsa notta ha deciso comunque di mantenere invariati sia i tassi che il QE.

La decisione della Bank of Japan

L'istituto centrale nipponico ha deciso, con 7 voti favorevoli e 2 contrari, di lasciare il tasso di interesse in territorio negativo a -0,10%, e di confermare il piano di acquisto titoli a un ritmo annuale di circa 80 trilioni di yen. Tuttavia, la forward guidance sui tassi è stata leggermente (ma sostanzialmente) modificata. La BoJ infatti ha chiaramente affermato che in futuro potrebbe abbassare ulteriormente i tassi (ricordiamo, già in territorio negativo), se ci sarà bisogno per arrivare al target di inflazione del 2%.

Nel commento a seguito dela decisione, il governatore della BoJ Kuroda ha evidenziato che i tempi della ripresa economica slitteranno di circa 6 mesi, mentre i progressi sul fronte commerciale USA-Cina, non sono ancora sufficienti per pensare che le tensioni siano ormai scemate. Per questo occorre prudenza.

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Conseguenze sui mercati

Il meeting della BoJ non ha avuto grosse coneguenze sull'andamento dello Yen, che si è apprezzato contro il dollaro soprattutto per via delle scelta della FED di tagliare il costo del denaro USA. La coppia USDJPY è scesa a 108,30, dopo essere rimbalzata sulla SMA200 (occhio ai triplo massimo e minimo trading).

Circa le previsioni economiche, la BoJ ha declassato l'inflazione e le reali previsioni di crescita. L'inflazione per il 2020 è stata rivista all'1,1%, quella per il 2021 all'1,5%. Riguardo alla crescita, si prevede che il PIL reale crescerà dello 0,7% nel 2020, in calo rispetto alla precedente proiezione dello 0,9%.

lunedì 28 ottobre 2019

Evasione fiscale, l'Italia ha numeri shock. Nord Ovest capofila (31,4%)

Il fenomeno dell'evasione fiscale in Italia non accenna a diminuire, ed anzi aumenta. Lo evidenziano le ultime stime di una indagine condotta per conto dell'Associazione Contribuenti Italiani.

I numeri dell'evasione fiscale

Nel primo semestre del 2019, l'evasione fiscale è aumentata del 3,8%, con un controvalore di 181,4 miliardi di euro l’anno sottratti all'erario. A livello territoriale l'evasione è diffusa soprattutto nel Nord Ovest (31,4% del totale nazionale), seguito dal Nord Est (27,1%). dal Centro (22,2%) e Sud (19,3%). Dal punto di vista regionale, è la Lombardia ad aver fatto registrare il maggior aumento percentuale dell'evasione fiscale: nel primo semestre del 2019, circa il 6,9%.

Ma anche per quanto riguarda il numero di evasori, è il Settentrione a dominare la scena. Sempre la Lombardia fà da capofila con un aumento del 5,5%. Secondo posto al Veneto con + 5,1%, mentre la Valle d’Aosta segue con 4,7%. Il Nord domina la classifica della Top10 degli incrementi di evasione fiscale: ci sono infatti anche Liguria (4,6%), Piemonte (4,5%) e Trentino (4,1%). La prima regione che non appartiene al Settentrione è il Lazio, sesta con +3,9%. Il Sud compare soltanto al decimo posto, con la Puglia (2,6%).

Se guardiamo alle categorie professionali, l'indagine commissionata dall'Associazione dei Contribuenti evidenzia che i maggiori evasori fiscali sono gli industriali (33,4%) seguiti da bancari e assicurativi (30,7%), commercianti (11,6%), artigiani (9,4%), professionisti (7,5%) e lavoratori dipendenti (7,4%).

Evasione delle società e lavoro sommerso

Va evidenziato un copione molto diffuso nelle società di capitali (escluse le grandi imprese): il 78% circa dichiara redditi negativi o meno di 10 mila euro o non versa le imposte, molte chiudono nel giro di 5 anni per evitare accertamenti fiscali o utilizzano “teste di legno” tra i soci o amministratori. In pratica su un totale di circa 800.000 società di capitali operative, il 78% non versa le imposte dovute. Si stima un'evasione fiscale attorno ai 22,4 MLD di euro l'anno.

C'è poi l'evasione dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese dovuta alla mancata emissione di scontrini, di ricevute e di fatture fiscali che sottrae all'erario circa 8,7 miliardi di euro l'anno. A livello di lavoro "sommerso", l'esercito di lavoratori in nero continua a gonfiarsi ed ha raggiunto il numero di 2,9 milioni di persone, molti dei quali cinesi o extracomunitari. Si stima un’evasione fiscale pari a 34,3 MLD di euro.

giovedì 24 ottobre 2019

Svalutazioni addio, la Lira egiziana è tornata a reggersi sulle sue gambe

Il drammatico biennio 2015-2016, fatto di progressive svalutazioni e di gravi problemi economici, sembra essere un ricordo per l'Egitto, che adesso può brindare a un cambio col dollaro in deciso apprezzamento, e al ritorno di un clima di maggiore ottimismo.

La ripresa dopo le svalutazioni

Qualche anno fa, per arginare la fuga di investitori e capitali, la banca centrale egiziana operò una serie di svalutazioni portando la valuta da 7 lire per dollaro fino a superare i 18. Quella politica da sola non avrebbe avuto successo, se non ci fosse stato l'intervento del Fondo Monetario Internazionale, che ha  permesso di arginare l’emorragia di capitali, consentendo un progressivo recupero delle riserve valutarie internazionali. E negli ultimi mesi la Lira si è incamminata verso un sentiero di rafforzamento nei confronti del dollaro USD, col cambio è scivolato a 16.4. Il bilancio complessivo di quest'anno parla di un apprezzamento della valuta africana pari superiore al 15%. Peraltro i migliori segnali forex gratuiti affidabili continuano a puntare su questo asset.

La rinascita economica

Dopo aver vissuto lo shock delle svalutazioni, la stabilizzazione del cambio ha ricreato le condizioni per una prosecuzione della fase di significativo sviluppo economico, cominciato dopo la primavera araba. Il tasso di sviluppo del paese è salito fino al 5% nel 2018, mentre la disoccupazione è diminuita dal 13.4% del 2014 a sotto al 10% stimato per quest’anno. L’inflazione evidenzia il miglioramento più importante, visto che è scesa dal 24% del 2017 all’attuale 7.5%, andando ben oltre le previsioni dello stesso Fondo Monetario Internazionale (che prevedeva la discesa sotto al 10% solo nel 2021).

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Taglio dei tassi costante e graduale

Proprio il calo dell'inflazione, unitamente alla tassi di interesse americani e alla maggior libertà nei movimenti di capitale, hanno creato un terreno fertile per l'apprezzamento della lira nel 2019. Nel frattempo la Banca Centrale continua il suo graduale percorso di riduzione dei tassi, senza fretta e senza scossoni, per evitare che movimenti troppo bruschi possano invertire il flusso di capitali, riportando il paese alla situazione del 2015-2016.

martedì 22 ottobre 2019

Crescono ancora i contratti di lavoro, ma per le imprese è difficile trovare professionisti qualificati

Nonostante il quadro globale non sia certo rose e fiori, la domanda di lavoro da parte delle imprese italiane continua a evidenziare una crescita su base tendenziale. A rivelarlo è il Bollettino mensile del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal.

I numeri del mercato del lavoro

Per il mese di ottobre sono 391mila i contratti di lavoro programmati, 21mila in più rispetto a quelli di ottobre 2018 (+5,7%). Supereranno il milione quelli relativi al trimestre ottobre-dicembre, 100mila in più (+10,6%) nel trimestre in corso rispetto a un anno fa.

I settori con maggiore vivacità sono ancora quelli distintivi del made in Italy. In testa infatti c'è la meccatronica (49.960 attivazioni nel trimestre ottobre-dicembre con una crescita tendenziale del 12,5%), ed a seguire troviamo la metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (40.350 contratti, +14,8%). Nell'ambito dei servizi, è il turismo che recita la parte del leone, con 170.560 contratti nel trimestre ottobre-dicembre (crescita tendenziale del 19,8%). Segnano invece il passo altri due settori del made in Italy, ovvero la moda e l’alimentare.

Figure qualificate cercasi...

Un aspetto che si conferma negativo è la difficoltà da parte delle imprese di trovare figure professionali qualificate. Un problema che si verifica nel 31,4% dei casi, e che affligge maggiormente le imprese dei servizi informatici e delle telecomunicazioni (52% dei profili ricercati è di difficile reperimento). Il che è un peccato, visto che questo comparto ha prodotto 30.170 contratti e un tasso di crescita del 19,1%. Difficoltà analoghe ci sono per le imprese della metallurgia e fabbricazione prodotti in metallo (47%), le imprese della meccatronica (45%), industrie del legno e del mobile (43%), industrie tessili, abbigliamento e calzature (38%).

Vedi anche: Lavoro e competenze, aziende italiane in difficoltà. Mancano saldatori e carpentieri.

Le figure che mancano sono i laureati in ingegneria elettronica e dell’informazione (67,9%) e in ingegneria industriale (54,0%); difficili da reperire anche i laureati in chimica e farmacia (58,6%) nonché i laureati ad indirizzo scientifico, matematico e fisico. Oltre ai laureati in discipline STEM, mancano anche quelli ad indirizzo linguistico, traduttori e interpreti (il 53,9% è di difficile reperimento). Insomma, il lavoro ci sarebbe eccopme, ma mancano le persone qualificate per svolgerlo.

venerdì 18 ottobre 2019

Economia cinese mai così male dal 1992. Pesa la lunga guerra dei dazi con gli USA

Erano quasi trent'anni che l'economia cinese non marciava così lentamente. I dati pubblicati oggi dall'Ufficio Centrale di Statistica di Pechino evidenziano una crescita del PIL nel terzo trimestre 2019 al 6%. Un valore che da noi sarebbe entusiasmante, ma per i cinesi è una delusione cocente. Basti pensare che l'anno scorso era cresciuto del 6,6%, e che nonostante una evidenza frenata globale, la fascia indicata come target ufficiale annuale dal governo cinese è tra il 6% e il 6,5%.

I dati sull'economia cinese

Il dato odierno, oltre ad essere una una performance inferiore alle attese (il consensus del Wall Street Journal era al 6,1%), è soprattutto il dato peggiore dal primo trimestre del 1992. Va detto però che secondo l'Ufficio di Statistica cinese l'economia è comunque riuscita a mantenersi su binari di sostanziale stabilità, pur rimanendo "sotto crescenti pressioni, alla luce delle complicate e severe condizioni economiche sia interne sia internazionali, del rallentamento dell'economia globale e delle crescenti instabilità e incertezze esterne”. Un timido segnale di ripresa arriva dal dato relativo alla produzione industriale, cresciuta del 5,8% annuo in settembre, in accelerazione rispetto al 4,4% precedente (minimo dal 2002).

Senza dubbio si stanno sentendo gli effetti del lungo braccio di ferro commerciale con gli stai Uniti, e il raffreddamento sia delle attività manifatturiere sia degli investimenti. Per questo motivo i mercati e guardano con trepidazione all'incontro del prossimo mese tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping, nella speranza che un accordo possa definitivamente porre fine alla lunga disputa tariffaria tra le due maggiori potenze economiche mondiali.

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Gli effetti sullo yuan cinese

Nonostante il deludente dato sulla crescita, lo yuan ha tenuto botta contro il dollaro USD, ed anche i migliori segnali di trading gratuiti Forex al momento non evidenziano grandi novità. Va precisato che le preoccupazioni per i dati economici USA deboli hanno tenuto basso il biglietto verde. Nel mercato onshore, lo yuan scambiato a 7,0740 per dollaro poco è cambiato nel corso della giornata. Nel mercato offshore, lo yuan è stato quotato a 7,0730 rispetto al biglietto verde.

lunedì 14 ottobre 2019

Retribuzioni globali ferme al palo, colpa del disallineamento delle competenze

Nonostante il calo diffuso della disoccupazione a livello globale, le retribuzioni non sono affatto aumentate. Il livello dei salari infatti sta vivendo una fase di stagnazione, come ha evidenziato un recente rapporto del di Hays in collaborazione con Oxford Economics.

Retribuzione e competenze

Per realizzare questa fotografia del mercato, sono stati presi in esame i mercati del lavoro di 34 economie a livello mondiale (Italia compresa). Di esse è stata fatta una analisi riguardante macro trend, sfide e opportunità per professionisti e aziende. Ebbene, emerge che il grosso problema del mercato del lavoro globale è il disallineamento tra competenze richieste e disponibili, con conseguente calo della partecipazione al mercato del lavoro. E' proprio questo che frena la crescita delle retribuzioni.

L’indicatore del gap di competenze è infatti salito a 6,7 punti nel 2019, contro i 6,6 del 2018. Si tratta del valore maggiore registrato dal 2012, quando venne pubblicato per la prima volta il Global Skills Index. Il rapido sviluppo tecnologico comporta che i datori di lavoro faticano sempre di più a trovare professionisti adeguatamente qualificati da inserire in organico. Questa discrepanza tra ricerca e offerta finisce per ampliare il divario tra i lavori altamente qualificati e quelli poco qualificati (soprattutto nella regione dell’Asia Pacifica).

Leggi anche: Imprese italiane sempre più a caccia di profili Stem hi-tech.

L'importanza della formazione

L’attuale stallo delle retribuzioni dimomostra che gli alti livelli di occupazione non sono più legati all’aumento delle retribuzioni, bensì derivano da cambiamenti strutturali nel mercato del lavoro. Per questo motivo bisognerebbe investire nella formazione a lungo termine, riducendo anche la sottoccupazione – ovvero l’impossibilità per i lavoratori che lo desidererebbero di essere impiegati a tempo pieno – tramite l’allocazione strategica delle risorse e fornire ai dipendenti gli strumenti utili per avere successo anche in condizioni lavorative mutevoli.

venerdì 11 ottobre 2019

Petrolio, la quotazione del WTI ha invertito la rotta e continua a crescere

Il mercato del petrolio sta estendendo i recenti guadagni, sostenuto dai crescenti rischi sul lato dell'offerta per via delle tensioni in Medio Oriente, e dalla debolezza del dollaro. Anche l'ottimismo riguardo all'andamento dei negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti sostiene la marcia dell'oro nero.

Cresce il prezzo del petrolio

Il WTI (futures sul petrolio del NYMEX) ha beneficiato di una nuova ondata di acquisti e ha raggiunto i massimi livelli in otto giorni a 54,73 (suggeriamo di osservare il grafico con le candele heikin ashi). Le quotazioni sono riuscite a rialzare la testa dopo tredici sedute consecutive di ribasso. Al momento della stampa, WTI sta consolidando l'ondata di oltre il 2% vicino alla regione di 54,50, ancora in aumento + 1,80% nel giorno.

Andiamo per ordine. In cima alle preoccupazioni degli investitori c'è il pericolo di interruzione della fornitura, che è cresciuto dopo la notizia che una petroliera iraniana sarebbe stata attaccata da terroristi vicino alla città portuale dell'Arabia Saudita di Jeddah. Secondo i media iraniani l'esplosione è stata causata da missili che hanno subito gravi danni alla nave, mentre la National Oil Company (NOC) iraniana, nella sua dichiarazione, ha affermato che due missili hanno colpito la petroliera di proprietà dell'Iran facendola bruciare. Una certa quantità di petrolio si sta riversando nel Mar Rosso, anche se la situazione pare sia stata controllata.

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Tensioni offerta e domanda

Sempre dal lato dell'offerta, altre preoccupazioni giungono dalle tensioni geopolitiche che continuano a minacciare di interrompere le forniture di petrolio dai produttori dell'OPEC. Ci riferiamo ai disordini politici in Iraq ed Ecuador. Come se non bastasse già tutto questo, va messo nel conto anche il conflitto turco-siriano che aggrava la situazione del Medio Oriente.

Un altro fattore di spinta per il petrolio è l'ottimismo che si respira attorno al nuovo round di negoziati commerciali in corso a Washington tra USA e Cina. Questo ha riacceso l'appetito al rischio del mercato, riducendo l'appetito per il dollaro USA (bene rifugio) e di conseguenza fornendo supporto al petrolio denominato in USD.

mercoledì 9 ottobre 2019

Economia globale, anche il FMI lancia un altro allarme sulla crescita debole

La crescita dell'economia globale potrebbe risultare - al termine del 2019 - la più bassa dell'ultimo decennio, e se non si agirà in fretta il rischio è quello di un rallentamento economico più forte. A dirlo è stata ieri Kristalina Georgieva, nuovo direttore generale del Fmi.

La trade war e la crescita dell'economia globale

Secondo il dg del Fondo Monetario Internazionale, c'è un rallentamento sincronizzato che è stato innescato soprattutto dalle tensioni commerciali. Esse da sole costeranno nel 2020 circa 700 miliardi di dollari all'economia globale, lo 0,8% del pil mondiale o l'equivalente dell'economia della Svizzera. La Georgieva ha evidenziato come "tutti perdono in una guerra commerciale". Per affrontare il tema, la settimana prossima  - quando ci sarà un vertice a Washington - il Fondo però intende assumere un punto di vista diverso. Non cercherà di convincere i paesi che la trade war è un male, bensì che la pace commerciale sia un bene per tutti. In pratica affronterà lo stesso problema da un punto di vista nuovo.

In occasione del meeting di Washington, il FMI pubblicherà anche le nuove previsioni di crescita dell'economia globale per il 2019 e il 2020, all'interno del World Economic Outlook. Le stime per la quarta volta dall'ottobre 2018, saranno riviste al ribasso. Oltre alla trade war, anche la Brexit e le tensioni geopolitiche stanno frenando il potenziale economico. "Questo potrebbe portare a cambiamenti in grado di durare una generazione" avverte Georgieva. Il direttore generale del Fmi ha anche parlato del rischio derivante dal cambiamento climatico, sul quale "tutti hanno la responsabilità di agire".

Il ruolo delle banche centrali

Riguardo le politiche monetarie accomodanti, l'economista alla guida del Fmi ha ammonito del banche centrali sui possibili effetti collaterali negativi delle politiche incentrate sul basso costo del denaro. Secondo il FMI infatti essere potrebbero creare o alimentare debolezze finanziarie, al punto che l'indebitamento delle aziende potrebbe superare i 19.000 miliardi di dollari, ovvero sopra i livelli della crisi finanziaria. Per questo motivo il Fondo esorta i singoli stati a procedere lungo un percorso di riforme, che alleggeriscano una parte del lavoro che al momento grava solo sull'opera delle banche centrali.

lunedì 7 ottobre 2019

Economia, la frenata globale rimane al centro dell'attenzione dei mercati

Sono diverse le questioni di interesse sul tavolo, che catturano l'attenzione dei mercati finanziari. Il focus della settimana sarà soprattutto sulla questione dazi, sui timori per la Brexit e quelli dovuti alla frenata dell'economia mondiale. Occhio anche a Draghi, che venerdì parlerà alla Cattolica.

La frenata globale dell'economia

L'elemento che più di tutto sta catturando l'attenzione è la frenata dell'economia e il conseguente pericolo di una recessione mondiale. Manifattura e settori dei servizi sono in crisi negli Usa, e hanno fatto scattare l'allarme sui mercati finanziari, che continuano a osservare l'andamento dei negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti. L'esito di questi ultimi rimane molto incerto, e nei prossimi giorni il vice premier cinese Liu He sarà a Washington per cercare di dare una svolta positiva ai rapporti.

In Europa...

Nel Vecchio Continente, a parte la faccenda Brexit che potrebbe regalare un accordo tra Londra e Bruxelles proprio in extremis (si avvicina la data del 31 dicembre fissata per l'addio all'Ue da parte del Regno Unito), a tenere banco è il rallentamento dell'attività industriale dell'Eurozona. La locomotiva Germania è in contrazione, e questa mattina è giunto lo scoraggiate dato sugli ordini di fabbrica della Germania, con un calo superiore alle aspettative. Secondo l'Ufficio Nazionale di Statistica Destatis, nel mese di agosto si è registrato un decremento dello 0,6% dopo la discesa del 2,1% del mese precedente (rivisto da un preliminare -2,7%). Il dato è peggiore delle aspettative degli analisti che avevano previsto una frenata più contenuta, ovvero dello 0,3%. Giovedì è in uscita il saldo della bilancia commerciale. Tuttavia, malgrado questo chi adotta strategia forex 30 minuti trading non ha visto grandi ripercussioni sulla valuta unica.

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I verbali del Fomc

La settimana calda dell'economia europea sarà scandita anche dall'Eurogruppo (che si terrà il 9 ottobre) con il presidente uscente della Bce Mario Draghi che venerdì sarà a Milano per ricevere la laurea honoris causa in economia dall'Università Cattolica. Il 10 ottobre invece c'è l'appuntamento è con l'Ecofin. Nel quadro settimanale, un altro passaggio importante sarà la lettura dei verbali dell'ultima riunione della Fomc, con la Fed in procinto di nuove mosse per fine mese.

giovedì 3 ottobre 2019

Produzione di olio, l'Italia riparte alla grande dopo un 2018 horribilis

Dopo aver vissuto un anno terribile, il 2018, la produzione di olio italiano è avviata a una forte ripresa nel corso di quest'anno e del prossimo. A dirlo sono gli osservatori del mercato: Cia-agricoltori, Italia Olivicola e Associazione italiana frantoiani oleari (Aifo).

La ripresa della produzione in Italia

Secondo i principali attori del mercati, la crescita della produzione italiana potrebbe arrivare fino dell’89%. Ed anche se non basterà a compensare il calo dell’annus horribilis 2018, comunque ci andrà vicina. Il calo dello scorso anno dovrebbe infatti essere assorbito per l'80%. A livello numerico, la produzione italiana dovrebbe raggiungere le 330 mila tonnellate di olio, quasi il doppio di quella dello scorso anno. Tuttavia siamo ancora molto lontani dal valore di 428 mila tonnellate, che si registrava appena 2 anni fa (una delle migliori annate del decennio).

Se lo scorso anno il clima era stato l'artefice del calo della produzione, stavolta ha favorito lo sviluppo dell’olivo. La combinazione di caldo estivo e bassa umidità hanno infatti evitato gli attacchi della mosca olearia. Inoltre secondi Cia, la qualità dell’olio extravergine d’oliva sarà assolutamente eccellente.

La Puglia fa da traino

A livello geografico, il recupero di produzione si sentirà soprattutto in Puglia, malgrado il grosso problema della Xylella che avanza. La stima fatta da Cia-agricoltori Italiani, Italia Olivicola e Aifo, parla di un incremento del 175% rispetto allo scorso anno. A guidare la ripresa sono i territori olivicoli delle province di Bari, Barletta-Andria-Trani (Bat) e Foggia, ovvero le arre maggiormente colpite dalla gelata nel febbraio 2018.

Quello che accadrà in Puglia peraltro è molto importante anche a livello nazionale, dal momento che la Borsa merci di Bari ha un ruolo guida nella formazione di quelli dell’olio a livello nazionale.

martedì 1 ottobre 2019

Eurozona, flop del settore manifatturiero. Torna l'incubo recessione

La situazione della Eurozona continua a manifestare dei segnali di debolezza. Sono infatti peggiorate in modo forte le condizioni operative del settore manifatturiero dell'area euro, mentre la valuta unica scivola sotto quota 1.09 contro il dollaro americano.

Gli ultimi dati sull'Eurozona

L'indice finale IHS Markit PMI del Manifatturiero dell'Eurozona, che già era in area contrazione ad agosto - quota 47 punti - è ulteriormente sceso fino a 45,7 punti, raggiungendo il livello più basso da ottobre 2012. Per l'ottavo mese di fila, questo indice si trova al di sotto della soglia di 50, quella che divide la fase di contrazione da quella di espansione. Riguardo all'Italia, il dato segna 47,8 punti, sul minimo da 6 mesi. Anche in questo caso il consensus è andato deluso (48,2). Malissimo la Germania, il cui PMI scende a 41,7 punti, il dato peggiore da ben 10 anni. Anche la Spagna preoccupa, visto che ha toccato i 47,7 punti, minimo da 77 mesi.

Per quanto riguarda l'inflazione invece, nella zona euro l’indice dei prezzi al consumo a settembre è aumentato dello 0,9% su base annua, leggermente di meno rispetto alla stime ed alla rilevazione di agosto, entrambe pari all’1%. Il dato core, sempre a livello tendenziale, si è attestato all’1%, in leggero aumento rispetto alla precedente rilevazione (+0,9%) ma in linea con le attese del consensus.

Pericolo recessione?

Questi dati macro della Eurozona sono tornati a far storcere il naso all’intero mercato, che torna a chiedersi se sia imminente una recessione. Inevitabilmente, tutto questo ha pesato sul cambio EUR/USD, che rimane sotto pressione e scende al di sotto del minimo biennale, dopo aver infranto un forex rettangolo di continuazione.

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La situazione della Eurozona rende possibile un nuovo intervento da parte della BCE, che potrebbe aggiungere ulteriori stimoli dopo il taglio dei tassi del mese scorso e l'annuncio dell'acquisto di obbligazioni. E tutto questo inevitabilmente pesa sull'euro.