venerdì 27 maggio 2022

Profitti extra da petrolio, l'Arabia Saudita non vuole investirli

La recente corsa del prezzo del petrolio ha consentito all'Arabia Saudita - primo esportatore di greggio al mondo - di ottenere dei profitti straordinari. Tuttavia gli Arabi hanno comunicato che questi extra profitti rimarranno "parcheggiati" su un conto corrente, senza essere reinvestiti.

La mossa dell'Arabia sui profitti

A differenza di quanto fatto nei precedenti periodi di boom delle quotazioni di petrolio, l'Arabia ha deciso che non darà vita a nuovi progetti di sviluppo crescita e diversificazione. I sauditi infatti hanno l'intenzione di rimpinguare le proprie casse, prima di cominciare a decidere se e quanto spendere di questo profitto extra.

Probabilmente il Regno deciderà di utilizzare parte di questi fondi per il pagamento di alcuni debiti, mentre solo in una seconda fase trasferirà denaro al fondo sovrano o al fondo nazionale di sviluppo, che si occupa delle Infrastrutture del paese.

La crisi e la ripresa

Per diverso tempo l'Arabia Saudita ha patito un deficit di bilancio legato al calo dei prezzi del petrolio. È avvenuto soprattutto nel 2020, subito dopo lo scoppio della pandemia. Il petrolio arrivò addirittura in territorio negativo, con oscillazioni di prezzo da far impallidire anche le coppie di valute più volatili.

Da allora lo scenario è completamente cambiato. Oggi il prezzo del barile è superiore ai 110 dollari, come si può vedere su tutti i broker stp ecn. Il Regno ha registrato un’eccedenza di bilancio di 15,3 miliardi di dollari (57,491 miliardi di riyal sauditi) nel primo trimestre del 2022.

Riserve e PIL

L'Arabia ha intenzione di non intaccare le proprie riserve di denaro, se non superano una certa quota del PIL che sarebbe in doppia cifra. Non investirà gli extra profitti maturati nell'ultimo periodo.

Questa mossa non è certamente positiva per l'intera economia globale, perché significa praticamente che fiumi di denaro rimangono parcheggiati senza produrre frutti. Di conseguenza il maggior costo dei consumatori del petrolio rimarrà sempre un costo, e non si trasformerà in alcun investimento in progetti per Oil & gas. Almeno questo avrebbe dato la prospettiva di un prossimo aumento della produzione di output. Non sarà così.

mercoledì 25 maggio 2022

Inflazione, l'Authority avvia monitoraggio per combattere la shrinkflation

C'è un'inflazione che si vede ed un'altra che c'è, ma si vede molto meno. Su quest'ultima l'antitrust ha deciso di accendere i riflettori.

Il fenomeno della inflazione "shrink"

C'è un termine nuovo che sta venendo alla ribalta nell'ultimo periodo. È quello della shrinkflation. Questo termine anglosassone combina il verbo "to shrink" che significa restringere, e dall'altra parte la parola "inflation" ossia l'inflazione. 

Con questo termine si vuole intendere la pratica commerciale che mira a far pagare per lo stesso prezzo una quantità minore di prodotto. Proprio quello che stanno facendo molte aziende, soprattutto per i beni di largo consumo.

Una pratica scorretta

Quello che sta succedendo è che di fronte all'inflazione crescente dei costi produttivi (specie per via delle tariffe energetiche, che solo adesso stanno vivendo la prima riduzione), le aziende anziché alzare i prezzi, che li porrebbe in modo meno concorrenziale sul mercato, decidono di ridurre le quantità. Ovviamente facendo il minimo indispensabile per renderlo chiaro al consumatore.

Proprio per questo tipo di pratica, l'autorità a tutela del consumatore ha deciso di avviare un monitoraggio. Vuole verificare se questo fenomeno possa essere rilevante ai fini dell'applicazione del codice del consumo. In particolare, si potrebbe configurare l'ipotesi di pratiche commerciali scorrette.

I prodotti sui quali c'è la shrinkflation

Secondo una indagine dell'Unione Nazionale dei consumatori, i prodotti sui quali c'è questa inflazione nascosta sono davvero tanti. Ad aprile scorso, durante il periodo Pasquale, era stato clamoroso il caso delle colombe vendute in tagli da 750 gr, anziché il formato classico da 1 chilo. Ma ci sono molti casi analoghi, come le le mozzarelle da 125 gr che sono improvvisamente "dimagrite" a 100 gr, oppure i casi di caffè, pasta, te e altri prodotti.

Il danno duplice

Questo è un fenomeno della fattura inflazione produce un doppio danno ai consumatori. Comporta un aumento di fatto del prezzo del singolo prodotto, dal momento che pagano lo stesso prezzo di prima si porta a casa di meno. Inoltre costringe le famiglie a fare la spesa più frequente.

venerdì 20 maggio 2022

Dividendi sta per arrivare il giorno tanto atteso dagli azionisti

L'inizio della prossima settimana sarà caratterizzato per il mercato azionario italiano soprattutto da un appuntamento molto atteso. Lunedì 23 maggio infatti sarà il giorno dei dividendi.

Chi pagherà i dividendi

Alla Borsa di Milano sono prossime a staccare il dividendo ben 19 società che sono quotate sul listino principale FTSE Mib. A queste si aggiungono 21 società quotate su altri indici.
Il piatto è quindi molto ricco e non potrebbe essere altrimenti, visto che parliamo di colossi come Eni, Intesa, Banca Generali

Va peraltro aggiunto che ben 7 società del listino principale hanno rendimenti superiori al 5%.

Qualche numero sui dividendi

Ad aprile l'Ufficio Studi di Equita per Mf-Milano Finanza ha elaborato dei calcoli riguardanti lo stacco dei dividendi a Piazza Affari nel 2022.
Complessivamente il totale erogato dalle società quotate sul listino milanese dovrebbe superare i 26 miliardi di dollari. Una cifra enorme, che supera di ben 9 miliardi di dollari quella dello scorso anno. Ci sono anche delle stime più prudenti che parlano di circa 23 miliardi, ma comunque parliamo sempre di cifre enormi.

Nota operativa: chi negozia titoli azionari con Vanilla Options, dovrebbe capire cosa succede quando un trader acquista un'opzione vanilla al prezzo bid ask.

Chi pagherà di più

Lo stacco dei dividendi consentirà a molti investitori di assorbire con il sorriso i recenti cali avvenuti in conto capitale. Nelle ultime settimane infatti la borsa italiana - come gli altri listini europei - ha vissuto un periodo complicato. Lo sa bene chi adotta strategia scalping RSI 5 periodi.

Se il dividendo medio sarà attorno al 4,2% (ben oltre la media dell'ultimo decennio pari a 3,44%), ci sono alcune aziende quotate che si spingeranno ben oltre.  

La migliore è Intesa San Paolo, che già a novembre scorso aveva pagato un acconto sul dividendo pari a 0,0721 euro per azione. Il 23 maggio staccherà un saldo di 0,0789 euro. Il dividendo totale sarà quindi di 0,151 euro per azione. In base agli attuali valori di Borsa, equivale a un rendimento complessivo che sfiora il 7,6%.
Al secondo posto c’è Azimut: 1,3 euro per azione con uno yield del 6,38%. In terza posizione Eni, che lunedì staccherà un saldo di 0,43 euro per azione.

martedì 17 maggio 2022

Imprese della ristorazione in calo è la prima volta dopo un decennio

L'impatto della pandemia ha fatto sentire i suoi effetti "numerici" dopo un po' di tempo sul settore della ristorazione. Oggi è diviso tra la voglia di ripartire e la conta dei danni, che si manifesta soprattutto attraverso un dato in calo, quello delle imprese che si sono registrate.

Il calo del numero di imprese

Sulla base dei dati di Infocamere, l'Osservatorio Ristorazione dell'agenzia  Ristoratore Top su dati Movimprese ha evidenziato che, dopo oltre un decennio di continua crescita numerica, nel 2021 il numero delle imprese attive nel settore della ristorazione è diminuito.

Si tratta di un dato estremamente tangibile degli effetti del contraccolpo da coronavirus. Risulta ancora di più eclatante perché, come detto erano oltre 10 anni che il numero di imprese continuava a crescere. Tanto che si era avvicinato alle 400.000 unità. Nel 2021 il saldo evidenzia invece una riduzione di 707 unità.

Resistono comunque le aziende attive, che sono 340.610. Tuttavia il numero è superiore soltanto di 46 unità rispetto al 2020. Anche le nuove attività ristorative iscritte evidenziano il primo arretramento dopo oltre un decennio: sono 8.942.

Un dato che conferma le difficoltà

Il report sul numero delle imprese nel settore della ristorazione non fa che confermare quanto già era evidente in precedenza. La pandemica ha scatenato una vera tempesta nel settore, perché non solo ha ridotto il numero di imprese, ma ha pure inciso in modo feroce sul fatturato complessivo, che ha subito un drastico taglio malgrado le iniziative a sostegno del settore.

Le prospettive

La clamorosa battuta d'arresto subita a causa della pandemia, al tempo stesso rappresenta un punto di partenza per il futuro. C'è ottimismo riguardo alla ripresa del trend di crescita che si è bruscamente arrestato dopo oltre un decennio. La voglia di resistenze è stata confermata anche dal dato diffuso da Deloitte sulla ristorazione, che ha evidenziato un rimbalzo del business a livello mondiale. Tuttavia, resta lontano dal colmare il crollo del 2020.

venerdì 13 maggio 2022

Economia russa non è stata scalfita granché dalle sanzioni occidentali

Chi pensava che l'economia russa sarebbe finita presto in ginocchio dopo le sanzioni dell'Occidente, si sbagliava di grosso. Un'analisi approfondita condotta dal Economist dimostra infatti che non c'è stato alcun collasso dell'attività economica di Mosca. Per vedere effetti realmente tangibili delle sanzioni accidentali, occorrerà aspettare ancora a lungo.

Le sanzioni e la reazione dell'economia russa

I dati macroeconomici per il momento danno ragione a Mosca. L'economia russa reale si è rivelata molto resiliente. Dopo aver subito un primo shock nel mese di marzo, si è rapidamente ripresa. Molti economisti che stimavano un crollo del PIL fino al 15%, stanno cominciando a rivedere le proprie previsioni.

Non basta guardare soltanto al rapido aumento dell'inflazione, balzata di oltre il 10% dall'inizio della guerra, anche perché in buona parte ciò che è accaduto sulla scia del deprezzamento del rublo Russo. A proposito, la valuta russa si è ripresa a sua volta, e adesso il cambio USDRUB si trova a 63 sul biglietto verde e sui 66 rispetto alla moneta unica europea.

Approfondimento: se siete interessati ad altre valute, qui trovate le previsioni cambio euro real brasiliano.

Per capire se davvero l'economia russa sta soffrendo le sanzioni bisogna guardare anche agli altri dati dell'economia reale. E dimostrano che Mosca sta reggendo.

La Banca Centrale

Alla fine del mese scorso la CBR ha tagliato il tasso di interesse dal 17% al 14%, al fine di stimolare l'economia. Una mossa che dimostra che il panico che si era scatenato verso fine febbraio è rientrato.

L'economia russa è sempre stata chiusa

Il motivo principale per cui le sanzioni occidentali non stanno avendo grande efficacia, è nella stessa natura dell'economia russa. È stata abbastanza chiusa e poggia sui suoi immensi giacimenti di combustibili fossili. Chiusa era prima, ancora più chiusa è adesso, mentre i giacimenti sono sempre lì ed hanno consentito a Mosca di esportare dall'inizio della guerra almeno 65 miliardi di dollari di prodotto. Mentre gli incassi degli idrocarburi sono schizzati del 80%, che su un grafico equivarrebbero a un gapping play High low. Mosca ogni giorno in casa circa un miliardo di dollari grazie all'energia.

Certo sullo sfondo rimane il possibile embargo europeo al petrolio russo. Ma bisogna anzitutto ragionare sul come, poi bisogna vedere il quando, infine bisogna capire quanto tempo servirà ad una mossa del genere per fiaccare l'economia russa.

mercoledì 11 maggio 2022

Banca d'Italia: investimenti ESG sempre più presenti, l’impronta carbonica è crollata in 3 anni

C'è una notizia molto interessante che riguarda i titoli quotati a Piazza Affari gestiti da Bankitalia. Sono sempre più improntati alla decarbonizzazione. O se preferite, è sempre maggiore l'attenzione alla tematica ESG.

Lo rivela l'ultimo report sugli "investimenti sostenibili e sui rischi climatici" che è stato pubblicato dalla Banca d'Italia.

Cosa evidenzia Banca d'Italia

I numeri evidenziati dal nostro istituto centrale mostrano che nel corso del triennio che va dal 2018 al 2021, l’impronta carbonica delle azioni gestite dalla Banca d’Italia è crollata del 60%. Questa discesa vertiginosa ha portato la quota delle azioni che hanno ancora una impronta carbonica al 37% del totale.

Ancora più interessante riguarda il dato sugli investimenti nel portafoglio ESG da parte della stessa banca di Via Nazionale, che vale circa 16 miliardi di euro, ossia oltre il 90% del totale.

L'impegno ESG del nostro istituto centrale

Il maggiore impegno di Bankitalia verso la sostenibilità è frutto della "Carta degli investimenti sostenibili" del 2021.
Questo documento definisce la visione che la Banca ha della sostenibilità, e contiene i principi e i criteri di riferimento per la gestione sostenibile degli investimenti finanziari dell'istituto.

Ebbene, in base ai dati rilasciati dalla banca centrale, il panorama di titoli gestiti ha caratteristiche migliori rispetto alla media del mercato sotto diversi aspetti.
Si distinguono infatti per l'intensità carbonica (-24%), per la produzione di rifiuti (-28%), per l'uso di energia elettrica (-21%) e di acqua (-14%). Inoltre la quota femminile circa l'impiego è maggiore di 7 punti percentuali rispetto al benchmark.

Non c'è solo Bankitalia

Se l'impegno della banca centrale verso la finanza sostenibili è in continua crescita, non è da meno quello di tutto il resto del mercato.
Un rapporto della Global Sustainable Investment Alliance, evidenzia infatti che nel 2020 gli investimenti Esg costituivano circa il 36% degli attivi globali in gestione e il loro valore aveva raggiunto i 35,3 trilioni di dollari, più del doppio rispetto al 2016.

venerdì 6 maggio 2022

Inflazione, la paura manda di nuovo giù le borse

L'entusiasmo che si era sprigionato sui mercati, subito dopo il meeting di politica monetaria della Federal Reserve è durato soltanto 24 ore. Gli investitori hanno ricominciato a tenere fortemente l'impennata dell'inflazione, e le conseguenze che questo potrebbe avere sull'economia globale.

Questo ha provocato un fortissimo contraccolpo sul mercato finanziario.

Federal Reserve, Wall Street e l'inflazione

Mercoledì scorso gli occhi dei mercati internazionali erano puntati tutti sulla Federal Reserve. Per domare l'inflazione la Banca Centrale Americana ha aumentato i tassi di interesse di 50 punti base, operando così la stretta più grossa da 22 anni a questa parte. Tuttavia il fatto che la FED abbia smentito qualsiasi ipotesi di una stretta di 75 punti base in futuro, aveva scatenato una certa euforia sui mercati.

La festa però è durata pochissimo. A bocce ferme i mercati hanno pesato nuovamente il rischio che l'inflazione possa spingere l'economia mondiale verso una crescita zero, e innescare così la stagflazione. I trader hanno così nuovamente alzato le loro scommesse di un aumento di 75 punti base durante il meeting di giugno. Il panico si è scatenato di nuovo.

Consiglio operativo: se vi piace il trading online, cercate di conoscere prima il pattern trading significato.

Crolla Wall Street, corre il dollaro

Gli effetti si sono visti nella giornata di giovedì, quando gli indici di Wall Street hanno chiuso in profondo rosso segnando la peggiore seduta dell'intero 2020. Il sentimento si è capovolto in un amen, e sull'indice è comparso anche un Diamante Diamond pattern analisi tecnica.

Il Nasdaq ha segnato la terza seduta peggiore di sempre, perdendo quasi il 5%. Ma non hanno fatto meglio il Dow Jones (ha lasciato sul terreno il 3,12%) e lo S&P 500 (che ha perso il 3,44%).
Paradossalmente tutto questo sta succedendo nella stagione delle trimestrali migliori del previsto che in teoria dovrebbe spingere gli indici di Borsa verso l'alto.
Per contro il clima di avversione al rischio ha spinto il dollaro di nuovo verso l'alto.

mercoledì 4 maggio 2022

Costo dell'energia, l'ipotesi di un "price cap" può diventare concreta

Nei primi quattro mesi dell'anno, il costo dell'energia è cresciuto di ben 5 volte. Il prezzo del gas al Punto di Scambio Virtuale in Italia è passato dai circa 20 euro MWh di gennaio 2021 ai circa 100 euro MWh del mese di aprile. In alcuni giorni i picchi di prezzo hanno superato i valori record di €200. Nel frattempo anche i prezzi dell'energia elettrica all'ingrosso hanno registrato valori record.

Tutta colpa dell'aumento di prezzo delle materie prime, ma soprattutto dello scoppio del conflitto in Ucraina innescato dalla Russia.

L'idea del governo per arginare il costo dell'energia

Per porre fine alla corsa del costo dell'energia, il governo italiano spinge per l'introduzione di un "price cap", ossia un tetto massimo. Secondo le stime, l'introduzione di un price cap di 80 euro megawattora innescherebbe una riduzione di circa il 25% sulla bolletta del gas. Ancora più grande sarebbe la riduzione della bolletta elettrica

Ma una proposta del genere dovrebbe essere estesa a tutto il territorio europeo, per riuscire ad essere efficace e consentire un risparmio in bolletta a cittadini ed aziende.
Burxelles ci lavoro, ma i tempi sono unghi e gli esiti incerti.

La Russia e l'energia

Se il costo dell'energia è aumentato in misura così considerevole, lo dobbiamo principalmente alla forte dipendenza dalla fornitura russa. Mosca alimenta infatti per il 38% il fabbisogno italiano di energia. Proprio l'eccessiva dipendenza energetica dalla Russia è stata il tema centrale della relazione presentata alla Camera dal ministro della Transizione Energetica, Roberto Cingolani.

Il distacco dalla fornitura russa

Il ministro ha tracciato il punto sull'aumento del costo dell'energia e sulle prospettive future legate ad un eventuale distacco delle forniture da Mosca.
Questa possibilità potrebbe avere delle conseguenze importanti soprattutto il prossimo inverno, dove lo scenario potrebbe diventare critico. Per questo motivo il Ministro spinge affinché l'interruzione delle forniture venga posticipata da maggio a novembre, in modo tale da poter consentire il riempimento degli stoccaggi.