Nei giorni scorsi, i ministri finanziari del G7 si sono riuniti a Londra per raggiungere una storica intesa su una tassa minima unica da far pagare ai giganti del web. Alla fine l'accordo è stato raggiunto su una aliquota globale di almeno il 15%.
La nuova tassa sul web
Anni di discussioni hanno quindi prodotto un primo risultato concreto sulla tassa - più famosa col nome di web tax - che dovrebbe riformare il sistema fiscale globale per adattarlo all'era digitale. Tuttavia, prima che questa tassa diventi effettivamente operativa passeranno degli anni. L’intesa infatti dovrà prima essere ratificata al prossimo G20, poi dai singoli Parlamenti.
In teoria, una parte delle maggiori entrate derivanti dalla tassa dovrebbe finanziare quei Paesi dove effettivamente vengono realizzate le vendite. Un sistema in teoria più equo di distribuzione dei proventi delle tasse, in attesa che in futuro la necessità di tasse nazionali sparisca del tutto e si arrivi a una tassa unica globale.
Si poteva far molto di più
Ma servirà davvero a combattere la fortissima elusione fiscale, che i giganti del web hanno potuto attuare grazie al "fisco amico" di alcuni Paesi?
In realtà, già il fatto che sabato pomeriggio i portavoce di Facebook e Google hanno fatto sapere che i due gruppi avevano accolto con favore l’accordo, fa capire che potevano temere molto ma molto peggio. La nuova tassa insomma è un pizzicotto dato a coloro i quali meritavano degli schiaffoni.
Equità... per davvero?
Siamo lontani da quella equità e giustizia sociale festeggiata dai ministri protagonisti dell'accordo. Ceh è bene ricordarlo, è frutto di un compromesso.
Infatti per rendere la proposta digeribile a quei Paesi che finora hanno fatto affari d'oro grazie ai trattamenti di favore riservati alle multinazionali (Cipro, Irlanda, Lussemburgo e Olanda), l'aliquota che inizialmente era fissata al 21%, è stata poi abbassata al 15%. Ben al di sotto, ad esempio, dell'Ires pagata dalle pmi italiane.
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