Settimana scorsa la BCE ha deciso di alzare nuovamente il costo del denaro. Il livello dei tassi di interesse è stato portato al 4,5%, e questo accentuerà il fenomeno della stretta al credito che già sta colpendo imprese e famiglie italiane.
Il danni del difficile accesso al credito
Il decimo ritocco ai tassi in 14 mesi è una mazzata per le ambizioni di crescita del Paese, perché finisce per vibrare un colpo tanto ai consumi privati quanto agli investimenti delle imprese. «L’ennesima decisione improvvida della Banca centrale europea provoca un rischio enorme di credit crunch per l'Italia», sostiene Unimpresa.
I numeri del centro studi evidenziano quanto sia forte il contraccolpo. Soltanto nell’ultimo trimestre i prestiti al settore privato sono calati di 12 miliardi di euro, dai 1.713 miliardi di febbraio ai 1.701 miliardi di maggio. I finanziamenti alle aziende sono calati di 7 miliardi in appena tre mesi.
Banche e privati
Se le banche non forniscono liquidità all’economia reale, ci sono ripercussioni sulla produzione, sugli investimenti, sui consumi e in definitiva su crescita economica e occupazione.
Da un lato gli istituti adottano criteri di accesso al credito sempre più rigidi, perché in una economia sofferente c'è il rischio maggiore di insolvenze. Dall'altro lato però il costo del denaro più alto fa crescere il margine d’interesse, e quindi ricavi e utili.
Urgono soluzioni
E' in pratica una situazione in cui le banche si salvano e tutto sommato ci guadagnano, mentre cittadini e imprese subiscono il costo delle scelte della BCE. Infatti l'aumento dei tassi non solo comporta un maggior costo per i “vecchi” debiti, ma riduce sensibilmente le prospettive per l’accesso al credito futuro.
Anche se è vero che l’aumento del costo del denaro è stata una necessità per contrastare l’inflazione galoppante, con l’obiettivo di portarla al 2%, è altrettanto vero che la BCE dovrebbe fare i conti anche con una realtà che racconta effetti collaterali decisamente pericolosi.
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