Sotto la spinta della pandemia, il lavoro in Italia aveva subito una profonda trasformazione, virando sempre di più verso forme di impiego più agili. Sembrava che lo smart working dovesse consolidarsi e diventare in buona parte un fenomeno consolidato. I numeri però rivelano tutt'altro.
Cambia di nuovo il lavoro
Con la fine della pandemia ed il ritorno alle vecchie abitudini, anche lo smart Working ha fatto diversi passi indietro. Si è tornati cioè ad una forma di lavoro più tradizionale nella stragrande maggioranza dei casi.
Secondo le ultime analisi presentate da Inapp
(ossia l'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche)
solo il 14,9% degli occupati lavora in smart working. Una percentuale
bassissima, se si pensa che il lavoro agile potrebbe coinvolgere addirittura il 40% degli occupati.
Pandemia e post pandemia
Durante il biennio della crisi sanitaria, ed in particolar modo nel 2020, c'è stato un vero e proprio boom del lavoro agile. Mentre in precedenza la quota di smart working era appena del 4,8%, decisamente al di sotto della media europea, si è passati in breve tempo al 13,7%.
Molti ritenevano che il lavoro agile sarebbe diventato maggiormente radicato anche con la fine della crisi pandemica. Tuttavia nel 2021 questo tasso di crescita ha fatto marcia indietro.
Malgrado ci siano condizioni assolutamente idonee per svolgere lavoro
agile in moltissimi casi, quasi sempre tale condizione non è sufficiente
perché si passi concretamente ad un lavoro da remoto.
Schema culturale
Il paradigma lavorativo che sembrava essere stato innescato dalla crisi pandemica è sfumato. Il ritorno alla normalità vanifica così gran parte delle potenzialità del lavoro a distanza, evidenziando come l'organizzazione di molte delle nostre imprese non sia capace di introdurre delle radicali innovazioni, che possano portare benefici tanto al lavoratore quanto l'azienda stessa.
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