giovedì 29 maggio 2025

Bilancio in rosso, Nissan vara un piano shock per evitare Il tracollo

La crisi che sta attraversando il settore dell'automobile non riguarda solamente i player europei, ma quelli di tutto il mondo. Perfino il colosso giapponese Nissan si trova a che fare con un bilancio pessimo, al punto da dover intervenire con un maxi piano di risanamento per evitare il compasso finanziario.

Un terribile bilancio

L'anno fiscale 2024-2025 è stato chiuso da Nissan con una perdita netta di bilancio pari a 671 miliardi di yen, che al cambio attuale sono oltre 4 miliardi di euro. Si è trattato del peggior risultato mai raggiunto nella storia del gruppo nipponico. 

Il tentativo di fondersi con l'altro marchio storico Honda è fallito per via di divergenze riguardo al taglio dei costi, e così la casa giapponese si è trovata di fronte ad uno scenario drammatico da dover affrontare da sola.

Il maxi piano di Nissan

A pressare enormemente sul management della casa giapponese sono i 5,6 miliardi di dollari di debiti che vanno in scadenza il prossimo anno. Senza un rapido risanamento dei conti, il tracollo finanziario si avvicinerà sempre di più. Ecco perché la casa automobilistica giapponese ha messo a punto un piano straordinario che mira a raccogliere oltre 1000 miliardi di yen, ossia 7 miliardi di dollari. Un piano che si articola in emissione di titoli, dismissioni e finanziamenti garantiti.

Obbligazioni in rampa di lancio

Il fulcro di questo piano prevede l'emissione di un prestito obbligazionario e altri strumenti convertibili fino a 630 miliardi di yen, oltre ad un prestito sindacato da un miliardo di sterline garantito da UK Export Finance, un'agenzia governativa del Regno Unito che supporta l'export.

Le dismissioni dell'azienda

Un'altra parte del piano prevede la vendita di alcune partecipazioni detenute dal gruppo Nissan. Quella ad esempio in Renault, posseduta al 15%, e quella in AESC Group, azienda che produce batterie. 

Ma nel calderone potrebbero finire anche degli impianti produttivi in Sudafrica in Messico, oltre alla sede centrale di Yokohama ed alcune proprietà immobiliari negli Stati Uniti. Proprio la cessione della sede di Yokohama rappresenta il simbolo più doloroso della crisi della casa automobilistica giapponese, visto che fu l'emblema del rilancio aziendale del 2009.

giovedì 22 maggio 2025

Prezzo delle azioni BYD al nuovo record storico

Grazie ad un guadagno di circa il 72% dall'inizio dell'anno, il prezzo delle azioni di BYD, azienda cinese leader mondiale dei veicoli elettrici, ha raggiunto un nuovo record storico alla borsa di Hong Kong.

La corsa del prezzo

Alla chiusura del listino azionario nella giornata di mercoledì, il prezzo delle azioni BYD ha raggiunto 460 HKD, un importo mai raggiunto prima d'ora. Al cambio attuale sono circa 58 dollari americani (per dati aggiornati si veda Pocket Option link Italia). 

La cosa particolare è che il prezzo delle azioni alla borsa di Hong Kong ha superato quello sul listino di Shenzhen. Normalmente il prezzo del titolo sul continente è sempre più alto rispetto a quello sull'isola, mentre stavolta è il 5% inferiore (al netto della conversione valutaria tra Hong Kong Dollar e yuan).

L'ultimo scatto

L'ultimo impulso deriva anche dal debutto di Amperex Technology (CATL), il più grande produttore cinese di batterie al mondo e la più grande IPO dell'anno sul mercato globale (alla Borsa di Hong Kong guadagno a del 10,19%), che ha stimolato l'intero settore.

Vendite ed export in volo

La corsa del titolo BYD deriva soprattutto dalla spinta delle vendite, che nel 2024 sono state ai livelli più alti di sempre. L'azienda si è confermata il maggior venditore al mondo di veicoli ibridi plug-in e di auto elettriche, soprattutto grazie alla forte integrazione verticale della sua linea di produzione, che gli ha consentito di tenere i prezzi bassi e guadagnare quote di mercato rispetto alla concorrenza. 

Nel corso dei primi quattro mesi di quest'anno, BYD ha visto crescere la quota delle sue esportazioni dal 23% al 38% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Analisti ancora fiduciosi

Va detto che, oltre a un quadro tecnico confortante (soprattutto se si utilizzano le Bollinger bands), le opinioni degli analisti vedono per il colosso cinese dei veicoli elettrici ulteriori rialzo in futuro

Gli esperti di Citigroup hanno fissato il target price a 727 HKD, confermando la raccomandazione di acquisto ai propri clienti. Questo perché BYD è meglio posizionato rispetto alla concorrenza sul fronte delle esportazioni, che sarà un passaggio sempre più necessario per i produttori cinesi dal momento che il mercato interno è praticamente saturo.

martedì 20 maggio 2025

Banche e clienti, un rapporto fondato per lo più sulla pigrizia

In Italia c'è un fattore invisibile che lega le banche ai loro clienti, si tratta della pigrizia. La maggior parte dei cittadini vorrebbe cambiare il proprio istituto di riferimento, ma non lo fa per questo motivo e finisce per accontentarsi di quello che gli viene offerto. Ma tutto questo alla fine non è un vantaggio per le nostre banche, perché le stimola poco a cambiare e a diventare più concorrenziali rispetto alle altre.

Scarsi stimoli per le banche 

In tutti i campi dell'economia, la competizione è un elemento essenziale per stimolare il cambiamento e la ricerca di una maggiore efficienza e competitività delle imprese. Lo stesso vale anche per le banche. Se fosse più semplice cambiare il proprio istituto di riferimento, siamo sicuri che l'intero sistema creditizio riceverebbe uno stimolo forte per migliorare.

In base a un'analisi condotta da Research Dogma, condotta su oltre mille clienti bancari e investitori, emerge che se circa il 60% dei clienti pensa di cambiare istituto, appena il 22% finisce per farlo per davvero. In sostanza circa il 65% degli insoddisfatti preferisce accontentarsi di quello che ha, piuttosto che cercare qualcosa di meglio.

Atteggiamento sbagliato

Il motivo principale per cui i clienti scelgono una fedeltà quasi assoluta alla propria banca è la pigrizia. Ciò va inteso non solo come la mancanza di voglia di cercare un nuovo riferimento bancario, ma anche come il fastidio di doversi adattare a nuovi contesti e nuovi procedure una volta effettuato il cambiamento. Per oltre la metà degli intervistati questo rappresenta il principale ostacolo al cambiamento.

Ma altri ostacoli sono rappresentati dalla paura di non trovare una vera alternativa migliore nelle altre banche, oppure di doversi scontrare con errori o complicazioni durante il passaggio verso un nuovo Istituto. Altresì molto alta è la quota di coloro che temono che dietro il cambiamento della banca ci siano più rischi che opportunità.

Semplificare e agevolare

Come abbiamo sottolineato però, il cambiamento è un motore importante che spinge le banche a migliorarsi e diventare più competitive. Per questo il cliente dovrebbe essere agevolato sempre di più nel processo di cambiamento, che dovrebbe diventare più semplice ma soprattutto più trasparente, azzerando i rischi che oggi come oggi vengono associati (spesso erroneamente) a questo cambiamento.

mercoledì 14 maggio 2025

Tassi di interesse, la BCE proseguirà al ritmo di 25 punti base

I continui segnali favorevoli che giungono dal fronte caldo dell'inflazione dovrebbero spingere la Banca Centrale Europea a tagliare nuovamente i tassi di interesse nella prossima riunione. Probabilmente a giugno verrà fatta un'altra sforbiciata per 25 punti base.

Inflazione, dazi e tassi di interesse

La banca di Francoforte ha due esigenze importanti quando decide di muovere i tassi di interesse. Quella prioritaria è riportare l'inflazione stabilmente verso l'obiettivo del 2%, ma al tempo stesso i policy makers europei non devono deprimere l'economia che già manifesta segnali di incertezza. 

Sotto questo aspetto sono molto importanti le novità giunte negli ultimi giorni dal fronte della battaglia commerciale. Gli accordi Stati Uniti con UK e Cina fanno pensare che l'Europa possa essere la prossima a trovare un'intesa con Trump. Ciò eliminerebbe un fattore di rischio dell'economia.

Nessuna necessità di accelerare

La conseguenza sarebbe che la Eurotower avrebbe molte meno pressioni di ridurre più rapidamente possibile il costo del denaro per stimolare la crescita. Nell'ultimo periodo infatti diversi analisti hanno considerato come concreta la possibilità che la BCE potesse spingere sull'acceleratore dei tagli, dopo le sette riduzioni consecutive già effettuate. Il tasso di interesse attualmente è al 2,25%, e dovrebbe essere portato al 1,75%, subito dopo l'estate. Entro fine anno è atteso un altro taglio fino al 1,5%.

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Gli ultimi report sull'inflazione

Come dicevamo, la priorità della Eurotower è l'inflazione, che sta marciando da diverso tempo verso il target. Nel mese di marzo il tasso annuo è sceso al 2,2%, con un raffreddamento evidente anche nella sua componente core. La stessa BCE ha ammesso che il percorso di disinflazione è ben avviato.

L'euro rispetto al dollaro

C'è però da considerare anche il ruolo dell'euro. La valuta unica negli ultimi mesi si è apprezzata rispetto al Dollaro. Il cambio EUR/USD viaggia verso 1,10 dopo aver disegnato un testa e spalle trading, e questo rafforzamento ha reso più convenienti le importazioni aiutando anche a contenere l'inflazione. Tuttavia una valuta troppo forte frena la competitività dell'export. Proprio per questo motivo i segnali di schiarita dal fronte della battaglia dei dazi sono molto importanti, perché riducono questo effetto negativo dell'apprezzamento valutario.

lunedì 12 maggio 2025

Prezzi sempre più alti, anche la pizza diventa un prodotto molto caro

C'era una volta un prodotto alimentare che caratterizza il nostro Paese in tutto il mondo, e che era sinonimo di convivialità ed economicità. Ma la pizza almeno quest'ultima caratteristica sembra averla persa, perché i prezzi sono cresciuti e il conto da pagare sta diventando sempre più salato.
Vale la pane ricordare che in Italia il business delle pizzerie continua ad essere enorme, visto che vale circa 25 miliardi di euro l'anno. In media ognuno di noi consuma circa 7,8 kg di pizza ogni anno.

L'aumento dei prezzi

Non c'entrano niente le pizze cosiddette "gourmet", che sono sempre state care ma per altri motivi. Sono i prezzi delle pizze più tradizionali, quelle che erano alla portata di tutti, ad essere diventati più alti un po' ovunque. E' quanto emerge da un'indagine condotta dal centro formazione e ricerca sui consumi (CRC), ha analizzato i dati Istat pubblicati dal Mimit (Ministero delle imprese e del Made in Italy).

Negli ultimi sei anni i prezzi di un pasto in pizzeria sono saliti in media del 18,3%. Il costo medio a persona è salito infatti a 12,14 euro (una pizza e una bevanda, con coperto e servizio se previsti). Colpa soprattutto dell'aumento dei costi di materie prime ed energia (soprattutto dopo l'invasione dell'Ucraina).

L'andamento dei prezzi a livello geografico

A livello geografico la situazione rimane comunque molto variegata e disomogenea. I prezzi più alti sono per lo più nel Nord Italia. In particolare spicca Reggio Emilia, dove il costo medio di un pasto in pizzeria è di 17,58 a persona. Leggermente di meno si paga a Siena, 17,24 euro a persona, mentre sul gradino più basso del Podio delle città più salate dove mangiare la pizza si colloca Macerata, con 16,25 euro. Rispetto alla media nazionale sono sette le province dove il prezzo è più elevato rispetto ai 14 euro a consumazione.

Conto basso: vince Livorno

E le città più economiche? Chi sta pensando a Napoli sbaglia. Anche nel capoluogo partenopeo, soprattutto per l'enorme afflusso di turisti degli ultimi tempi, i prezzi della pizza sono andati in crescendo. Sul gradino più basso della classifica si siede Livorno, dove il pasto medio in pizzeria costa appena 8,75 euro. Seguono Reggio Calabria con 9,15 e Catanzaro dove si spendono poco meno di 10 euro.

martedì 6 maggio 2025

Criptovalute, il Bitcoin torna più vicino alla soglia dei 100.000 dollari

Il mercato delle criptovalute ha ritrovato di nuovo slancio negli ultimi tempi, grazie soprattutto al rinnovato appetito al rischio che si respira tra gli investitori. Nonostante il clima resti incerto per via della battaglia commerciale innescata dagli USA, qualche segnale distensivo ha favorito il ritorno verso gli asset più rischiosi.

Lo scenario sul mercato delle criptovalute

Venerdì scorso la notizia che la Cina sta valutando la possibilità di aprire a colloqui commerciali con gli Stati Uniti ha dato una spinta al mercato. Il Bitcoin è risalito così fino a 97.000, dopo aver fatto un deciso breakout oltre la resistenza chiave a quota 95.000. 

Anche se in questo avvio di settimana c'è stata una piccola marcia indietro, abbozzando un uncino di Ross 123 high low, se lo slancio rialzista dovesse riprendere allora il Bitcoin potrebbe avvicinarsi alla soglia dei 100mila dollari.

L'importanza del fattore tassi di interesse

Una spinta al prezzo della criptovaluta più importante è arrivata anche dalla prospettiva di futuri ulteriori tagli dei tassi da parte delle banche centrali. Con i costi di finanziamento che si abbassano, l'investimento nel reddito fisso diventa meno remunerativo e questo aumenta l'attrattività degli asset finanziari più rischiosi.

Nel frattempo, l'interesse verso gli etf spot su Bitcoin continua ad essere crescente. Sono ormai tre settimane che gli afflussi di capitale sono in crescita costante. Questa tendenza rappresenta una spinta rialzista importante per le criptovalute.

NB. Le criptovalute sono asset che si prestano bene all'utilizzo del demarker indicator, uno strumento di trading molto efficace.

La grande novità in Arizona

Un piccolo slancio al Bitcoin è arrivato anche dalla decisione dello stato americano dell'Arizona di approvare un disegno di legge che autorizza il tesoriere dello Stato ed il sistema pensionistico un investimento fino al 10% dei propri fondi disponibili in asset digitali, in particolare Bitcoin. 
Il disegno di legge adesso dovrà essere firmato dalla governatrice democratica Katie Hobbs, che potrebbe così prendere l'Arizona il primo stato americano a detenere Bitcoin come asset di riserva. Questa autorizzazione ha rafforzato la domanda istituzionale di criptovalute.

Incertezze

È chiaro tuttavia che lo scenario attuale potrebbe cambiare radicalmente in relazione all'evoluzione dei negoziati commerciali, soprattutto quelli tra Stati Uniti e Cina. Una guerra a colpi di tariffe potrebbe spingere l'economia americana in una fase di stagflazione, ossia crescita stagnante e inflazione elevata. Tale condizione probabilmente finirebbe per alimentare l'avversione al rischio, con inevitabili conseguenze sugli asset come Bitcoin e le valute digitali. Peraltro l'inflazione elevata potrebbe rallentare il percorso accomodante della Federal reserve, e tassi più alti non favoriscono gli asset più rischiosi.

giovedì 1 maggio 2025

Imprese italiane, ecco la strategia per attenuare i dazi di Trump

La temporanea sospensione dei dazi da parte dell'amministrazione Trump ha offerto una piccola boccata di ossigeno alle imprese italiane, che tuttavia si stanno preparando anche allo scenario peggiore e corrono ai ripari.

I timori delle imprese italiane

Come ha evidenziato un sondaggio che è stato realizzato da Unioncamere e dal Centro Studi Tagliacarne, una grossa fetta delle imprese italiane sta cercando delle soluzioni per affrontare le possibili conseguenze dovute alle tariffe commerciali statunitensi. Il mercato a stelle e strisce infatti rappresenta una quota fondamentale del nostro export ed un mercato di sbocco molto remunerativo.

L'indagine evidenzia che il 56% delle aziende italiane è convinta che ci sarà una riduzione delle vendite verso il mercato americano. Il 26% delle imprese teme inoltre che ci sarà un incremento dei costi di approvvigionamento, e una quota simile evidenzia il pericolo che ci sia una flessione di vendite di beni intermedi e semilavorati, che spesso transitano per la trasformazione in altri paesi prima di finire sul mercato USA. Il 19% inoltre collega ai dazi un incremento della concorrenza di aziende di altri paesi, che non potendo più esportare degli USA lo faranno verso l'Europa.

La strategia della diversificazione

Tutti questi timori stanno spingendo le imprese italiane a diversificare i mercati di destinazione dei loro prodotti, così da attenuare in parte gli effetti dei dati. Le nostre aziende esportano mediamente in 11 paesi, e questo in parte già è un dato positivo in questa battaglia che si apprestano ad affrontare. Soprattutto le imprese del Nord Italia possono vantare una maggiore diversificazione, mentre quelle che hanno più difficoltà in tal senso sono quelle del Meridione, dove in media l'export si indirizza verso 6 Paesi stranieri.

Più export verso l'UE

Il 25% delle imprese contattate nelle indagini e si appresta a espandersi verso ulteriori mercati all'interno dell'Unione Europea e quasi un quinto lo farà anche fuori dall'Unione Europea. Soltanto il 3% invece vede come possibile soluzione anche quella di spostare la produzione direttamente negli Stati Uniti. Un terzo delle aziende ritiene invece che alla fine sarà costretta ad aumentare i prezzi di vendita per compensare l'effetto dei dazi.