domenica 30 dicembre 2018

Evasione fiscale, la situazione migliora ma il Mezzogirono resta dietro. La Calabria è la peggiore

La fotografia fiscale dell'Italia evidenzia che la piaga dell'evasione è ancora presente e molto forte. Su 100 euro di gettito dovuto all'Erario, 16 euro vengono sottratti illegalmente e restano nelle tasche degli evasori. Complessivamente sono circa 113 miliardi che ogni anno mancano all'appello dell'erario, secondo uno studio della CGIA riferiti al 2016.

La mappa dell'evasione fiscale

Dal punto di vista territoriale, il Mezzogiorno resta l'area dove questa piaga è maggiormente radicata. Qui la percentuale di evasione giunge al 22% del dovuto. L'area più virtuosa è il Nord-Ovest, con 13,3%. Segue il Nord-Est con il 13,3%, quindi il Centro con il 16,5%. La Regione dove si registra l'evasione più alta è la Calabria, dove si stima un tasso del 24,2%. Situazioni altrettanto gravi ci sono in Campania (23,2%), Sicilia (22,2%) e Puglia (22%). Dato drammatico: tutte le regioni del meridione hanno un tasso di evasione più alto della media Nazionale. La situazione si capovolge invece nel Nord Italia, dove l'evasione c'è ma è molto più contenuta. La Lombardia è la regione più virtuosa, con un tasso del 12,5%. Un dato migliore si registra soltanto nella Provincia autonoma di Bolzano, dove ci si ferma al 12%.

Va detto che in mezzo a tutti questi dati negativi, un aspetto positivo c'è. Negli ultimi anni infatti la piaga dell’evasione fiscale è leggermente andata in calo. L'infedeltà dei contribuenti nel 2014 sottraeva 17,1 miliardi ogni 100 dovuti, mentre nel 2016 è scesa a 16. Complessivamente sono stati "recuperati" diversi miliardi dalla lotta all'evasione.

Le armi contro l'evasione

Le soluzioni per risolvere o comunque ridurre la portata del problema sono diverse. In linea di massima molti ritengono utile ridurre il carico fiscale: cioè pagare meno per pagare tutti, contemporaneamente punendo in modo fortissimo i furbetti, così da scoraggiarli. Inoltre va ridotto il costo della burocrazia fiscale in capo agli imprenditori, perché spesso anche la farraginosa organizzazione amministrava dello Stato e delle sue articolazioni territoriali, induce all'evasione. Questo vale soprattutto per le piccole e micro aziende che, a differenza delle realtà piu' grandi, non dispongono di una struttura amministrativa in grado di farsi carico autonomamente di tutte queste incombenze.

giovedì 27 dicembre 2018

Borse Europee in calo, si sta chiudendo un anno pessimo

La penultima seduta del 2018 è stata all'insegna del rosso per le Borse europee. Tutte le grandi piazze del Vecchio Continente hanno infatti chiuso in territorio negativo, spinte al ribasso anche dalla debole performance di Wall Street.

Cosa frena le Borse europee

Sui mercati sta prevalendo l'orientamento alla prudenza, visto che se ne sta andando il peggiore anno dell'ultimo decennio e che rimangono ancora molte incertezze riguardo al futuro. Il rallentamento dell’economia mondiale infatti si manifesta in modo sempre più concreto, e come se ciò non bastasse ci si mettono pure le tensioni a livello internazionale a creare un clima di avversione al rischio nelle Borse europee.

In attesa che il prossimo 29 dicembre venga approvata la nuova legge di Bilancio, Milano ha lasciato sul parterre l’1,81%. Ma come detto c'è stata una chiusura in forte calo per tutti i principali indici delle Borse europee. Francoforte (-2,37%) ha accusato la performance peggiore del Vecchio Continente, risentendo dell’andamento del comparto auto. Male Londra (-1,5%) e Parigi (-0,6%). Lo spread BtP-Bund è sceso a 251,5 punti.

A livello di singoli titoli, possiamo ottenere i dati dalle piattaforme di trading online migliori. A Piazza Affari è andata malissimo per i bancari. Banco Bpm è scivolato del 2,45%, mentre fuori dal paniere principale va registrato il crollo del 18,7% di Banca Carige, dopo che l’assemblea di sabato scorso ha bloccato l’aumento di capitale. Telecom Italia ha perso il 3,7%, riavvicinandosi ai minimi che non si vedevano dall’estate 2013. Sono andate male le Saipem (-3,3%), le Fca (-3,86%) e le Ferrari (-2,97%), sulla scia della debolezza dei titoli auto tedeschi. In evidenza le Juventus (+1,14%) nel primo giorno di contrattazione nel Ftse Mib.

Il mercato valutario

Dalle Borse europee passiamo al fronte dei cambi. L'euro è scambiato a 1,14 dollari (occhio al ventaglio di gann trading fan). Contro lo Yen la valuta unica scambia a 126,48 yen, mentre il dollaro-yen si attesta a quota 110,8 (111,16). Va evidenziato che la Banca Centrale Europea nel suo Bollettino mensile ha ribadito che i tassi rimarranno attorno allo zero almeno fino all’estate 2019.

sabato 22 dicembre 2018

Budget USA, nessun accordo: è scattato lo shutdown

L'accordo sul budget americano non è stato trovato, e alla mezzanotte è scattato lo shutdown (alle 6 del mattino ora italiana) che paralizzerà molti uffici federali, almeno nelle attività non considerate essenziali.

Nessun accordo sul budget

La tensione era scoppiata sulla richiesta di quasi 6 miliardi di dollari avanzata da Trump per costruire un muro anti-immigrati ai confini con il Messico. Richiesta che era stata approvata alla Camera (a maggioranza repubblicana) ma non al Senato. Fino alla fine s'è provato a raggiungere un accordo, almeno per finanziare temporaneamente il governo fino agli inizi di febbraio. Ma la Casa Bianca ha rifiutato ogni ipotesi del genere, neppure quando è stato proposto di inserire nel budget altre misure di rafforzamento della sicurezza ai confini. Trump, che sembrava aver abbracciato un approccio più flessibile qualche tempo fa, si è invece di nuovo irrigidito, minacciando anche un lungo shutdown se i democratici non si piegheranno alla sua volontà.

Le cosneguenze dello shutdown

A causa dello shutdown ben 420mila lavoratori federali (quelli indispensabili) andranno al lavoro senza essere pagati, mentre 380mila (quelli non indispensabili) rimarranno a casa, ovviamente non remunerati.Lo shutdown coinvolgerà 9 ministeri, diverse agenzie e enti federali come il Dipartimento del Tesoro, quello del Commercio, dell'Agricoltura, della Giustizia, dei Trasporti e anche il Dipartimento di Stato. Saranno coinvolti musei, monumenti federali, parchi nazionali, ecc. Solo per alcuni di essi la presenza di fondi di riserva nei loro budget consentirà comunque l'apertura dei servizi per alcuni giorni.

Va detto che lo shutdown non è certo una rarità negli USA. Dal 1981 fino ad oggi ce ne sono stati già 12, e quello più grave fu nel 2013 sotto la presidenza Obama a causa della riforma sanitaria Obamacare: ben 16 giorni. Tuttavia, il loro impatto economico è sempre difficilmente quantificabile, anche perché possono durare da 1 giorno solo fino a diverse settimane. Si stima che il loro costo stimato sia di circa 6,5 miliardi di dollari alla settimana.

giovedì 20 dicembre 2018

Bank of Japan ancora immobile. Ma intanto lo Yen sale sui mercati

Ancora una volta la Bank of Japan non ha regalato alcuna sorpresa. L'istituto centrale nipponico ha infatti deciso di confermare i tassi d'interesse allo 0,10% in negativo, e a zero sui titoli di Stato decennali. Questo livello del costo del denaro fu deciso con una mossa storica nel meeting del gennaio 2016.

La scelta della Bank of Japan

La decisione di politica monetaria della BoJ è giunta poche ore dopo la mossa della Federal Reserve americana, che ha deciso invece di procedere con il quarto ritocco dell'anno. All'interno del board dell'istituto centrale nipponico, ci sono stati 7 pareri favorevoli a mantenere lo status quo, mentre due membri hanno votato contro. La BoJ ha deciso inoltre di mantenere il piano di espansione monetaria, che prevede l'acquisto titoli per 80.000 miliardi di yen l'anno (627 miliardi di euro al cambio attuale).

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Riguardo le previsioni future sull'economia giapponese, la Bank of Japan ha ribadito la sua precedente valutazione secondo cui l'economia del Sol Levante dovrebbe continuare a espandersi moderatamente. "Al momento non c'è alcun cambiamento nel nostro modo di vedere l'economia giapponese", ha detto il governatore Haruhiko Kuroda. In particolare si prevede una crescita moderata delle esportazioni e un trend rialzista della domanda interna. Uno dei grossi problemi dell'economia giapponese rimane l'inflazione core, che è intorno all'1% e quindi molto lontana dal target del 2%. L'istituto ha anche posto l'accento su una serie di rischi esterni, tra cui proprio l'impatto dei crescenti tassi d'interesse Usa. Sulla crescita economica del paese pesano le tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti, che potrebbero indebolire le aziende che maggiormente esportano e avere ripercussioni anche sulle altre economie d'oltreoceano.

La reazione dello Yen

Sul mercato valutario intanto lo Yen marcia molto forte. La valuta nipponica guadagna terreno contro dollaro ed euro (con un indicatore Awesome Oscillator trading in fase rialzista), spinta dal terremoto sull’equity statunitense che ha innalzato il livello dell'avversione al rischio. Il calo dei rendimenti dei Treasury a 10 anni dopo gli annunci FOMC, ha riacceso le preoccupazioni sull'inversione della curva dei rendimenti . La coppia Usd-Jpy  è arrivata a toccare il livello più basso dalla fine di ottobre a 111,55.

martedì 18 dicembre 2018

Wall Street si avvia a chiudere l'anno peggiore dal 2008

Addio ai guadagni. Il pesante crollo che è stato registrato a Wall Street, ha finito per cancellare tutti quello che di buono era stato fatto nel corso del 2018. Ma ancora peggio, getta pesantissime ombre sul prossimo futuro.

L'aria che tira a Wall Street

Alla fine di una giornata nerissima, il Nasdaq ha perso il 2,27%. Malissimo sia lo S&P 500 che perde il 2,08% che il Dow Jones in retromarcia del 2,11 per cento. Ma lo scivolone di questi giorni a Wall Street non è stato certo un fatto isolato e improvviso. Anzi, il crollo di Wall Street era nell'aria già da diverso tempo. Infatti è dal mese di settembre che la borsa americana ha vissuto una impennata di volatilità, dopo aver bucato tutti i record. E il bilancio complessivo di quest'anno è tale che il ribasso accumulato dagli indici di borsa potrebbe configurare il peggiore anno dai tempi della grande crisi finanziaria del 2007-09.

Ma cosa ha determinato questa corsa alle vendite? Hanno coagito diversi fattori.

I motivi del calo

Anzitutto l'evidenza che la marcia spedita dell'economia a stelle e strisce s'è fermata. Lo dimostrano diversi indici (l'ultimo è stato l'Empire State manufacturing index), anche se le stime proiettano una crescita del 2,5% anche per l’anno a venire. Per questo molti investitori sono adesso in attesa della guidance di politica monetaria della Fed, che verrà resa nota mercoledì al termine della due giorni di meeting della Banca centrale Usa (che intanto dovrebbe aumentare i tassi). A tutto questi si sommino le negative notizie per quello che riguarda l'Obamacare (decretato incostituzionale, con conseguente crollo di tutti gli undici settori del comparto sanitario) e le solite dichiarazioni del presidente americano Trump, che hanno creato tensione con la FED.

E poi c'è la curva dei rendimenti. Le ultime sei recessioni (dal 1978 al 2008) sono state anticipate da un’inversione della curva dei rendimenti tra la scadenza a 10 e quella 2 anni. In sostanza quando i tassi dei titoli a 2 anni hanno superato quelli a 10. Oggi come oggi la differenza è di appena 15 punti base, per cui siamo vicini.

domenica 16 dicembre 2018

Norges Bank, l'aumento dei tassi avverrà a ritmo più lento del previsto

La Norges Bank procederà con un restringimento della propria politica monetaria, ma a un ritmo più lento di quanto ipotizzato in precedenza. E la Corona ha perso quota sul mercato valutario.

Le scelte della Norges Bank

Questo è il succo della settimana per la valuta norvegese, caratterizzata dal meeting della banca centrale di Oslo. Con una decisione unanime la NB ha confermato - come era atteso - il tasso di politica chiave allo 0,75%, ma ha annunciato che il percorso restrittivo procederà a un ritmo leggermente più lento di quanto pianificato in precedenza, a causa delle preoccupazioni sulle prospettive dell'economia globale. La banca centrale ha dichiarato di voler aumentare i tassi a marzo del prossimo anno, dopo averlo fatto a settembre per la prima volta in 7 anni. Il percorso di normalizzazione dovrebbe procedere con 5 aumenti entro la fine del 2021: due nel 2019, uno nel 2020 e due nel 2021, secondo quanto dichiarato dal governatore Oeystein Olsen in conferenza stampa.

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I rischi secondo la Norges Bank

Secondo la Norges Bank, l'aumento del protezionismo e l'incertezza politica hanno indebolito le prospettive di crescita a livello internazionale (in special modo si guarda a Eurozona e Svezia, i principali partner commerciali per la Norvegia). "I persistenti conflitti commerciali e le turbolenze che circondano i processi politici in Europa potrebbero frenare la crescita tra i partner commerciali". Ha inoltre citato in particolare come una Brexit senza accordo possa aumentare le turbolenze sui mercati finanziari. Su consiglio di Norges Bank, il ministero delle finanze ha aumentato simultaneamente l'ammontare dei capitali che le banche devono tenere nei loro bilanci, aumentando il requisito di riserva anticiclica per proteggerle meglio da una potenziale recessione.

Circa l'inflazione, dopo il rallentamento di novembre ci sono stati nuovi segnali di rialzo recenti che hanno portato il livello ai massimi di quasi due anni (3,5%, come a gennaio 2017).
Sui siti trading forex gratis possiamo vedere che la Corona (che solo subito dopo la decisione della Norges Bank si è rafforzata) ha chiuso la settimana in territorio negativo sia contro il dollaro che contro l'euro. La valuta norvegese ha perso oltre un punto percentuale contro l'euro, tanto che la coppia Eur-Nok è salita a 9,7495, a pochi passi dal livello che a settmebre spinse la NB ad alzare i tassi. Perdite ancora maggiori sono state registrate contro il dollaro. Il cross Usd-Nok è infatti salito a 8,6274 (+1,71% settimanale).

giovedì 13 dicembre 2018

Investitori italiani pronti a cambiare strategie con la fine del QE

La fine del Quantitative Easing spingerà gli investitori italiani a cambiare strategia, diversificando il proprio portafoglio. E' questa la conclusione che emerge leggendo il Global Investment Survey 2018 di Legg Mason, il colosso mondiale di gestione patrimoniale di Baltimora.

Gli investitori italiani e la fine del QE

Il QE è una misura con cui la BCE ha effettuato acquisti programmati di titoli (in particolare di bond) sul mercato. In questo modo, a intervalli regolari, ha immesso nel sistema finanziario una massiccia dose di liquidità che serve. Se gli anni della grande crisi e dello stimolo monetario hanno spinto gli investitori italiani ad aumentare la loro "passione" verso i bond (domestici o europei), che oggi sono il 25% della loro allocazione, una bella fetta (67%) cambierà orientamento in vista della fine del quantitative easing della BCE previsto per fine anno. Tutto questo ci renderà un poco più simili al resto del mondo, dove la quota destinata dagli investitori ai bond è al 17%, (quindi molto meno che nel Belpaese).

La consapevolezza forte è che la fine del QE cambierà gli scenari del mercato. Il reddito fisso diventerà meno attraente di quanto sia adesso. Lo evidenzia il fatto che sul campione di 17.000 investitori internazionali ascoltato da Legg Mason, il 29% crede che il 2019 sarà l'anno su cui puntare all’azionario internazionale, anche alla luce della volatilità tornata ai livelli standard.

Gli spostamenti nel portafoglio

Un investitore su cinque prevede inoltre di aumentare il peso nel suo portafoglio delle azioni internazionali, e la stessa frazione si orienterà invece sulle obbligazioni dei mercati emergenti. Sempre bond quindi, ma fuori dai confini euro-domestici. Il resto degli investitori italiani ha annunciato che si orienterà ancora sui bond del Vecchio Continente (22%), mentre il 16% rimarrà ancorato all’azionario italiano. La quota più piccola (13%) investirà nelle commodities.

martedì 11 dicembre 2018

Inflazione, la Romania centra il target fissato dalla BNR

Torna nel target fissato dalla banca centrale, l'inflazione della Romania. Secondo i dati del National Institute of Statistics infatti, la crescita dei prezzi al consumo è diminuita al 3,43% rispetto al 4,25% registrata nel mese precedente. Su base comparativa mensile invece, l'indice dei prezzi al consumo (IPC) è sceso dello 0,1% a novembre. Il rallentamento della crescita dell'inflazione è dovuto alla minore evoluzione dei prezzi alimentari (aumentati del 2,86% su base annua). I prezzi non alimentari sono aumentati del 4,24%, quelli dei servizi sono cresciuti del 2,50% a novembre.

Inflazione e politica monetaria

Come detto, adesso l'inflazione è rientrata nel target fissato dalla banca centrale della Romania (BNR), nella fascia 1,5%-3,5%. L'istituto rumeno a novembre ha mantenuto il tasso di politica monetaria al 2,50%. L'ultimo cambiamento risale a maggio, quando il costo del denaro venne portato al 2,50% dal 2,25% (tre rialzi quest'anno: gennaio, febbraio e maggio). A novembre il Governatore Isarescu precisò che i tassi di interesse "sono dove dovrebbero essere e dove li vediamo nel prossimo periodo". Questo tono molto dovish (causato dai timori esterni circa la guerra dei dazi, l'equilibrio dell'eurozona e le politiche delle banche centrali) ha messo in dubbio l'ipotesi di altri 3 rialzi nel 2019.

In realtà il vero motivo di preoccupazione per la banca rumena è la debolezza del LEU. Dopo aver scelto qual è il miglior broker forex gratis, possiamo infatti vedere i dati. La valuta nazionale infatti ha subito un grosso deprezzamento in estate, e la coppia EurRon è rimasta ferma in prossimità dei massimi di luglio a 4.66. La coppia UsdRon invece resta oltre la soglia psicologica di 4.00 superata a fine settembre.

Altri dati macro

Oltre al report sull'inflazione, è stato anche reso noto che la retribuzione mensile media netta reale è cresciuta 9,1% su base annua a ottobre, dal 7,7% di settembre. Su base comparativa mensile, il salario netto reale è stato dello 0,7% più alto a ottobre. In termini nominali invece il salario mensile netto medio è aumentato del 13,7% sull'anno e è salito dell'1,2% sul mese di ottobre, a 2.720 Leu. Il più alto salario medio netto di 6.380 lei è stato registrato nel settore IT, mentre il più basso, di 1.580 Leu, è stato registrato nel settore alberghiero e della ristorazione.

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Ieri era stato anche reso noto il saldo della bilancia commerciale, che aveva evidenziato una crescita del deficit commerciale a 11,85 miliardi di euro ($ 13,4 miliardi) nei primi dieci mesi dell'anno, a fronte di un deficit di 10,22 miliardi di euro nello stesso periodo del 2017.

giovedì 6 dicembre 2018

Redditi e famiglia: in italia 3 persone su 10 sono a rischio povertà

Sono drammatici i numeri che ha pubblicato l'Istat riguardo lo stato di salute economia dell'Italia, ovvero la condizione di redditi e famiglie. Una persona su 10 si trova in condizioni di grave deprivazione materiale, e addirittura quasi tre su dieci (28,9%) sono a rischio povertà o esclusione sociale.

Redditi e condizioni di vita

Nel report sulle '​Condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie' emerge però un lieve miglioramento rispetto al 2016. Risulta stabile al 20,3% la percentuale di individui a rischio di povertà, mentre sono diminuiti quelli che vivono in famiglie gravemente deprivate oppure a bassa intensità lavorativa. Miglioramenti molto lievi comunque.

L'Istat ha reso noto che nel 2016 il reddito netto medio annuo per famiglia, esclusi gli affitti figurativi, è risultato pari a 30.595 euro. Significa circa 2.550 euro mensili. La crescita è stata del 2% in termini nominali e del +2,1% in termini di potere d'acquisto rispetto al 2015 (visto che la variazione dei prezzi al consumo è stata pari a -0,1%). La contrazione complessiva dei redditi rispetto ai livelli pre-crisi del 2009 resta notevole, con una perdita in termini reali dell'8,5% per il reddito familiare.

Sono le famiglie numerose  - ovvero con 5 o più componenti - ad essere ancora le più esposte al pericolo di povertà o esclusione sociale. L'indice infatti per loro è del 42,7%. Se la famiglia poi è composta di due o più nuclei allora il pericolo cresce ulteriormente del 5,4%.

Rischio a livello geografico

A livello geografico, il Mezzogiorno resta l'area più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale (44,4%). Anche in questo caso il rischio si è ridotto rispetto al 2016 (quando era 46,9%). Il rischio più basso si vive al Nord-est (16,1% da 17,1%) e Nord-ovest (20,7% da 21,0%). Nel Centro il coefficiente sale al 25,3%.

martedì 4 dicembre 2018

Investitori più cauti, il sentiment è peggiorato a novembre

Il mondo degli investitori ha perso un po' di fiducia, stando ai risultati dell'analisi di State Street Global Exchange. L'indice che descrive l'andamento di questo fenomeno è sceso infatti a novembre di 1,7 punti. Pesa soprattutto la componente Nord America, dove è sceso da 81,6 a 79,2 punti. In Europa è salito di 0,4 punti ma comunque il trend è calante, in Asia addirittura la crescita è stata di 2,6 punti.

Il sentiment degli investitori

Il panorama è quindi abbastanza variegato. Ad eccezione degli investitori asiatici il sentiment è peggiorato. Il motivo è da ricercare in un contesto caratterizzato dalle turbolenze di mercato. Di conseguenza gli investitori stanno fortemente modificando la propria esposizione agli asset di rischio. Chi ha visto le previsioni cambio dollaro franco svizzero, avrà notato che molti analisti ritengono che la valuta elvetica, ritenuta da sempre porto sicuro, è data in possibile ascesa.

Non ci si deve sorprendere, se pensiamo a quanto accaduto negli ultimi mesi. In primavera è scoppiata la questione dei dazi commerciali, mentre in estate a dominare la scena è stata la crisi turca, che ha travolto tutte le valute emergenti. Sullo sfondo sono rimaste sempre la tensione Italia-Bruxelles sulla manovra economica del Belpaese, nonché la questione dei negoziati su Brexit. Insomma di fronti caldi ce ne sono stati parecchi, e questo giustifica il perché molti trader hanno seguito strategie trend following (breakout trading) ribassiste più che rialziste su molti asset.

Il calo registrato in quest'ultimo periodo è stato tra i più pesanti degli ultimi dieci anni. I peggioramenti di agosto e settembre sono infatti stati interpretati come un campanello d’allarme della volatilità di mercato, che ha dominato il quarto trimestre. La cosa che per certi versi sorprende è la crescita dell'indice in Asia. Tenuto conto infatti dei timori sulla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina, ci si sarebbe atteso un calo forse ancora più drastico che altrove. Invece proprio lì il sentiment degli investitori è migliorato.

sabato 1 dicembre 2018

Lavoro, il ciclo vita di un 15enne italiano è il più basso in Europa

L'indagine Eurostat sul mercato del lavoro mette in evidenza un dato negativo per l'Italia, che è fanalino di coda della UE come aspettativa del ciclo lavorativo.

La fotografia del mondo del lavoro

Da noi infatti un ragazzo di 15 anni può sperare di lavorare in media 31,6 anni nella sua vita, contro i 36 che in media vantano i suoi "amici" europei. Gli va malissimo se si mette a paragonare la sua aspettativa con un ragazzo islandese, che invece può ragionevolmente sperare di lavorare ben 47 anni. Nel ranking ci piazziamo ultimi, ma al di là della eclatante differenza rispetto all'Islanda, emerge comunque una velocità maggiore di tutti i paesi nordici rispetto a quelli mediterranei ed alcuni dell'Est. Tra le prime dieci posizioni ci sono infatti anche altri paesi nordici: Svezia, Olanda, Danimarca, Norvegia, Gran Bretagna, Germania e Finlandia.Compare anche la Svizzera (seconda con 42 anni e mezzo).

Anche se in generale questo dato sul lavoro evidenzia ancora un problema per l'Italia, le cose rispetto al passato vanno meglio. Nel 2000 infatti la durata della vita lavorativa era di 28,5 anni, quindi in questi 18 anni è salita in media di tre anni. Il miglioramento maggiore riguarda soprattutto le donne, la cui vita lavorativa sale da 21,9 anni del 2000 a 26,8 del 2017. Tra gli uomini invece si è passati dai 34,8 anni del 2000 ai 36,2 anni dello scorso anno.

L'enorme incidenza degli inattivi

Come detto però, nonostante il livello sia migliorato, rimane comunque il fatto che siamo ultimi in Europa. L’aspettativa lavorativa italiana è così bassa anche perché c'è una grossa porzione di soggetti che rimane inattiva. La quota infatti è del 24,7%. In sostanza un soggetto su 4 non prende parte al mondo del lavoro. Secondo le ultime rilevazioni siamo a oltre 13 milioni di persone tra i 15 e i 64 anni, un'enormità se paragonata ai 23,3 milioni di occupati (e al conto vanno aggiuinti i 2,7 milioni di disoccupati).