martedì 29 luglio 2025

Investire in azioni, ecco perché le small cap USA sono attraenti

Dopo un semestre molto proficuo per il mercato azionario, adesso è il momento di porsi delle domande per chi intende investire in Borsa. Dove potrebbero essere le migliori occasioni del secondo semestre? 

Dove si può investire

Ci sono dei dati interessanti che potrebbero suggerire delle opportunità ai trader. Ad esempio, si può investire nelle small cap statunitensi, visto che trattano fortemente "a sconto" rispetto alle large cap. Se è vero che questo trend dura ormai da diversi anni, è altrettanto vero che questo scarto raramente è stato così marcato.

A fine maggio il Russell 2500 quotava a 17,5 volte il multiplo P/E prospettico a 12 mesi, contro le 22,2 volte dell’S&P 500. Questo divario di circa 5 punti è una finestra d’ingresso molto accattivante per chi vuole investire nel mercato statunitense.

L'instabilità genera un'occasione

Ma perché questo scarto è così ampio? Fondamentalmente, il divario è stato accresciuto dalle incertezze macroeconomiche. Normalmente, nei periodi di incertezza chi vuole investire nell'azionario si rivolge alle mega cap, perché sono considerate rifugio sicuro. Ma se uno ha la capacità di andare oltre la volatilità di breve termine, le small cap evidenziano grandi potenzialità.

NB. Quando vi tuffate nel mercato azionario, attenzione a investire con la leva finanziaria, perché presenta anche dei rischi.

Gli utili societari

C'è anche un altro aspetto importante da sottolineare. Secondo le ultime stime, la crescita dell’utile per azione (EPS) prospettico del Russell 2500 supera quella dell’S&P 500 su orizzonti di uno, due e tre anni. Ciò conferma che c'è un grosso potenziale di crescita.
Questa impressione è confermata anche dal trend dei ricavi, perché le proiezioni indicano che la crescita prevista per le small cap sarà più ampia.

Conclusioni

Premesso che se intendete investire, la prima cosa da chiedersi è come sapere se un broker è affidabile, a quel punto se si combinano valutazioni storicamente attraenti e una dinamica di utili molto solida, allora investire nelle small cap statunitensi può essere una scelta da considerare. Ciò vale soprattutto per chi intende diversificare il portafoglio in vista della prossima fase del ciclo di mercato.

giovedì 24 luglio 2025

Banche, cresce ancora il numero di conti correnti e dal Parlamento arriva una novità...

Il numero di conti correnti attivi in Italia continua a crescere. Secondo un recente report, nelle nostre banche, dal 2019 alla fine del 2024 c'è stata una crescita del 13,2%. Oltre 48 milioni di conti attivi, ossia 5,6 milioni in più rispetto al 2019.

I numeri delle nostre banche

L'incremento dei conti correnti presso le banche è un fenomeno che viaggia trasversalmente lungo tutto il paese, come evidenzia il report dellla Fabi, la Federazione autonoma bancari italiani

Il maggior numero di conti si trova a Nord-Ovest, con oltre 18,2 milioni (quasi un quinto in più rispetto a 5 anni prima). Segue il Nord-est con 10,4 milioni. Il Centro sfiora i 10 milioni mentre al Sud risultano 6,3 milioni di conti correnti attivi. Balza all'occhio il fatto che nel nord-ovest del paese ci sia il triplo dei conti correnti rispetto a quelli del Meridione, dove pure negli ultimi cinque anni c'è stata una crescita che sfiora il 10%. Fanalino di coda della classifica sono le Isole, con 3,1 milioni di conti.

Un sesto dei conti è aperto a Milano

Le aree metropolitane si confermano quelle con il maggior numero di conti correnti attivi presso le banche. A Milano ci sono 8,1 milioni di punti, ossia il 17% del totale nazionale, un sesto. Più di quanti ce ne sono nell'intero Sud Italia e il doppio di quelli della capitale Roma, dove se ne contano 4,3 milioni.

Al terzo posto c'è Torino con 1,8 milioni, poi Napoli con 1,3 milioni. Seguono Brescia, Bergamo, Firenze, Bologna, Palermo e Bari. Come si può notare, sono tutte città che hanno una forte presenza industriale commerciale o amministrativa, oltre ad avere una popolazione residente molto numerosa.

La grande novità che arriva dal Parlamento

L'importanza di questi numeri aumenta se si considera che è stato appena dato il primo via libera ad una grande novità nel rapporto tra banche e clienti. 

La camera ha infatti approvato il testo che impedisce agli istituti di credito di rifiutarsi di aprire un conto corrente e impedisce altresì di chiuderlo se ha un saldo anche minimamente attivo. L'unica motivazione che può giustificare il diniego riguarda eventuali violazioni delle disposizioni nazionali ed europee sul riciclaggio e il finanziamento al terrorismo. In pratica, l'apertura di un conto corrente diventa un diritto che non può essere negato dalle banche, se non per motivi assolutamente gravi.

lunedì 21 luglio 2025

Mercati finanziari, fari puntati sulla BCE

Ci stiamo avvicinando al periodo estivo, e gli appuntamenti macro cominciano ad essere più rarefatti. Nonostante questo, sui mercati finanziari ci sarà molta carne a cuocere. Al di là del conto alla rovescia sulla questione dazi, c'è il meeting della BCE a tenere banco.

Gli eventi clou per i mercati finanziari

Durante i prossimi giorni, l'attenzione del mercato rimarrà focalizzata soprattutto sugli sviluppi commerciali. Entro l'1 agosto bisognerà raggiungere un accordo tra Stati Uniti, Europa e altri partner, altrimenti secondo Trump scatteranno nuovi dazi che renderanno le vacanze estive più amare a tutti.
Sul fronte macroeconomico, il calendario prevede i dati sugli ordini di beni durevoli, gli indici PMI globali di S&P e le vendite di case nuove ed esistenti.

I mercati finanziari presteranno molta attenzione al discorso del presidente della Fed Jerome Powell. Tutto ciò indirizzerà il dollaro, che nell'ultima settimana ha guadagnato un altro po' di terreno. Il Dollar Index è rimasto oltre quota 98, ma l'indicatore alligator trading non segnala alcunché.

Cosa accadrà in Europa

Nel vecchio continente l'appuntamento più importante è il meeting BCE che si riunisce giovedì. I mercati finanziari non prevedono alcuna modifica dei tassi dopo otto tagli consecutivi, visto che l'inflazione nell'Eurozona è tornata all'obiettivo del 2% a giugno. Nel frattempo, sono attesi gli indici PMI flash per l'Area Euro, Germania, Francia e Regno Unito, con modesti miglioramenti previsti sia nel settore manifatturiero che nei servizi.

Nel Regno Unito, l'ONS pubblicherà i dati sulle vendite al dettaglio a seguito di una lettura positiva del British Retail Consortium.
Nel frattempo, si prevede che la Banca Centrale di Turchia avvierà un nuovo ciclo di allentamento, con un taglio del tasso di 250 punti base al 43,50%, mentre la Banca Centrale di Russia dovrebbe anch'essa ridurre il tasso di 100 punti base.

Il calendario in Asia e Australia

Altra banca che si riunisce è quella della Cina, che dovrebbe mantenere invariati i tassi di interesse principali sui prestiti a uno e cinque anni. Ciò dovrebbe avere un minimo impatto sullo Yuan, anche se suggeriamo di osservare l'andamento del OSMA oscillator.
In Giappone, l'attenzione sarà rivolta agli indici PMI preliminari di luglio e ai dati sull'inflazione di Tokyo. I mercati finanziari aspettano con interesse anche i risultati delle elezioni della Camera alta. 

La stagione delle trimestrali

Questa settimana proseguirà la stagione degli utili negli Stati Uniti, con importanti aziende come Alphabet, Tesla, Verizon, Coca-Cola, T-Mobile e IBM pronte a pubblicare i loro risultati trimestrali.

mercoledì 16 luglio 2025

Vendite in calo nel settore auto? Con questi prezzi sono un lusso

Nell'arco di una dozzina di anni, il mercato dell'auto ha riservato una bruttissima sorpresa ai clienti. I prezzi infatti sono cresciuti del 52%. Non c'è da meravigliarsi allora se le vendite sono in calo e la crisi in cui questa industria è precipitata non sembra avere via di uscita.

Prezzi alti, giù le vendite

Un tempo le auto erano disponibili per ogni fascia di clienti, dal più esigente e spendaccione fino a quello che cercava semplicemente una macchina per risolvere la sua esigenza di mobilità. E le vendite andavano benone. Poi però lo scenario è cambiato, e oggi un’auto nuova resta solo un miraggio per molti italiani.

Se nel 2013 il prezzo medio di una vettura era 19.000 euro, oggi il prezzo medio è salito a 30.000 euro. Un aumento del 52%. Il guaio è che nel frattempo i redditi familiari sono saliti del 29%. Fatta eccezione per la Dacia Sandero, la soglia dei 15mila euro è ormai solo un ricordo.

Da bene di massa a bene di lusso

Questo disallineamento ha trasformato l’automobile da bene di massa a bene quasi di lusso, spingendo al ribasso le vendite. Di fronte a uno scenario così negativo, due italiani su tre rinunciano o rimandano l’acquisto dell'auto. Ciò porta alla conseguenza che il nostro parco auto in circolazione invecchia. Ha superato i 13 anni di media, e oltre la metà delle auto usate acquistate ha più di dieci primavere.

I driver della crescita dei prezzi

Va detto che i grandi marchi dell'industria automobilistica non sono sciocchi a spingere i prezzi all'insù, facendosi del male da soli. I listini delle auto si sono impennati per diverse ragioni.
Il primo è la transizione elettrica, che ha comportato un sistema di regole severe e scadenze così imminenti da costringere le imprese a investire tanto e in fretta, senza avere numeri chiari e sicuri riguardo alle future tendenze di mercato. Le vendite di auto elettriche hanno avuto un boom passeggero, soprattutto grazie agli incentivi. Finiti quelli, per le industrie dell'auto è cominciata la crisi dell'auto elettrica. L’elettrificazione, più che un’opportunità, è diventata un moltiplicatore di costi. 

Come se non bastasse questo, si sono aggiunti in sequenza altri problemi: la pandemia ha inceppato la produzione, la crisi dei chip ha ridotto l’offerta, la guerra in Ucraina ha fatto esplodere i costi energetici e le materie prime.

sabato 12 luglio 2025

Valute, la svalutazione strategica dello Yuan è un bel problema

Nel primo semestre del 2025, sul mercato delle valute abbiamo assistito ad una progressiva perdita di valore dello Yuan cinese, in special modo riguardo all'euro. Si tratta di uno scenario che, come vedremo a breve, apparentemente non avrebbe giustificazioni e che dovrebbe metterci sull'allerta.

L'andamento delle valute

Se pensiamo alla politica di tagli dei tassi che ha cominciato la BCE, cosa che normalmente fa abbassare la forza delle valute, avremmo dovuto aspettarci una svalutazione dell'Euro rispetto allo Yuan, o quantomeno un bilancio sostanzialmente invariato. 

Del resto è così che sta succedendo tra la valuta cinese e il Dollaro statunitense, di cui rapporto di cambio ha mantenuto effettivamente una certa stabilità nel primo semestre di quest'anno. Invece l'andamento tra euro e yuan è cambiato, visto che l'EUR/CNY è cresciuto e all'orizzonte non si vedono pattern di inversione candlestick.

Che cosa sta facendo la Cina

A partire dal 2017 Pechino sta incrementando notevolmente le proprie riserve di valute sotto forma di depositi. Anche i crediti concessi all'estero stanno crescendo, così come gli investimenti cinesi in titoli stranieri. Soprattutto la crescita delle "shadow reserves" evidenzia che la Cina si trova in una posizione di forza, che dovrebbe stimolare l'apprezzamento dello yuan in condizioni di libero mercato. E allora perché sta accadendo l'opposto rispetto all'Euro?

Il ruolo di Pechino e i pericoli per l'Europa

La svalutazione della divisa cinese è frutto di una specifica strategia del governo, almeno in questa fase. La Cina sta utilizzando il cambio tra valute come un'arma per guadagnare quote di mercato all'estero (cosa che scombussola i piani di chi vuole fare scalping Forex sulla valuta cinese). 

Una volta che lo Yuan si svaluta rispetto all'Euro, le esportazioni cinesi diventano molto più competitive mentre le importazioni più costose. La bilancia commerciale quindi si squilibra e questo può mettere pressione alle industrie del vecchio continente. Le difficoltà delle aziende europee saranno crescenti se non viene arginato questo fenomeno.

lunedì 7 luglio 2025

Turismo, l'Italia sta cambiando volto: meno alberghi e più affitti brevi

La buona notizia di questo periodo è che il turismo italiano continua a viaggiare al ritmo spedito, e le previsioni per questa estate confermano una tendenza molto incoraggiante. Tuttavia c'è anche un aspetto che merita di essere evidenziato, riguardo una trasformazione che sta agendo in modo radicale in uno dei settori più importanti dell'economia italiana.

La nuova tendenza del turismo

Quello di cui stiamo parlando è la crescente richiesta di affitti brevi, che si accompagna alla riduzione del numero di alberghi sul nostro territorio. Dal 2008 oggi sono calati del 5,5%, scendendo da 34 mila unità a circa 32.000 (parliamo delle strutture che sono ufficialmente censite da Istat). 

Nello stesso periodo di tempo invece gli annunci italiani su Airbnb sono passati da una cinquantina ad oltre 600mila, con una crescita superiore al 1150%.

La rivoluzione strutturale

Questi dati confermano che nel turismo italiano è in atto una vera e propria rivoluzione strutturale, perché sta cambiando il modo in cui i turisti vivono il nostro paese. Se nel 2010 il fenomeno degli affitti brevi era una novità che per lo più riguardava i giovani, le cose sono cambiate notevolmente nel corso degli anni. Oggi infatti il fenomeno degli affitti brevi è un industria globale che supera di quasi venti volte il numero degli alberghi.

Il successo degli affitti brevi

Il turismo fondato sugli affitti brevi ha avuto terreno fertile grazie a diversi fattori, a cominciare dall'innovazione digitale passando per la flessibilità dell'offerta. Ma soprattutto ha ampliato notevolmente la platea dei possibili offerenti, dal momento che chiunque possiede una seconda casa oppure una stanza libera può monetizzare grazie agli affitti brevi.

I problemi da risolvere

Questo scenario porta anche un sè anche numerosi interrogativi e problemi, che riguardano anzitutto la regolamentazione degli affitti brevi, la sostenibilità e la tenuta dell'intero sistema. Non ci sono delle regole armoniche a livello nazionale, e questo crea problemi in primo luogo all'industria alberghiera, che sta subendo una progressiva erosione delle quote di mercato, con inevitabili di cadute anche sul piano occupazionale. Senza contare l'aspetto fiscale degli affitti brevi, visto che il fenomeno spesso sfugge all'occhio dell'Erario.

mercoledì 2 luglio 2025

Prezzo dell'oro, c'è qualche analista che lo vede a 4000 dollari

Nonostante la corsa del prezzo dell'oro sembri aver rallentato il suo ritmo, molti analisti ritengono che ci siano numerosi fattori che agiranno ancora da forza propulsiva, spingendo il lingotto verso nuovi record nel breve e medio periodo.

Il rally del prezzo dell'oro

Dall'inizio del 2024 le quotazioni del metallo pregiato sono andate in salita in modo pressoché costante. Il prezzo del loro spot è salito dalla già ragguardevole cifra di 2600 dollari per oncia a quasi 3.400 dollari (a metà giugno). L'aumento complessivo è stato quasi del 65%. Chi conosce il sistema Fibonacci trading, ha visto cadere molti ritracciamenti ed estensioni durante questo periodo di tempo.

Per rendere l'idea di quanto forte sia stato questo rally, basta pensare che l'indice S&P 500 è cresciuto nello stesso periodo del 28% (facendo comunque felici tantissimi investitori).

Perché dovrebbe crescere ancora?

Ma per quale motivo molti analisti ritengono che la corsa del prezzo del loro proseguirà? I fattori di crescita individuati sono diversi. Ad esempio l'inflazione strutturalmente più elevata in tutto il mondo. Oppure la politica fiscale accomodante negli Stati Uniti, dove c'è anche il problema dell'elevato indebitamento. La debolezza del dollaro, che ha perso in parte il suo ruolo di status di bene rifugio, proprio a beneficio dell'oro. Senza dimenticare poi le tensioni geopolitiche che ci sono in tutto il mondo. Sono tutti driver rialzisti del prezzo dell'oro.

NB. E' interessante vedere anche l'andamento del prezzo dell'oro rispetto alle valute, tenendo sotto mano una tabella correlazione valute Forex.

Gli accumuli delle banche centrali

Ma uno dei motivi più importanti per la crescita delle quotazioni del lingotto è il continuo accumulo da parte delle banche centrali. In maniera pressoché costante, i dati del World Gold Council evidenziano una crescita di oro fisico nei forzieri delle banche centrali di tutto il mondo. Inoltre guardando al futuro, un recente sondaggio evidenzia che il 95% delle autorità monetarie prevede di aumentare le riserve auree ulteriormente nei prossimi 12 mesi.

Tutto questo spiega perché gli analisti ritengono ancora molto probabile ulteriore aumenti del prezzo dell'oro in futuro. Alcuni ritengono che il metallo pregiato possa arrivare ai 4.000 dollari per oncia già entro quest'anno.

lunedì 30 giugno 2025

Prezzi in rialzo anche nei b&b, dal 2020 una crescita del 30%

Una soluzione gradita a una grande fetta di turisti che vengono nel nostro paese è il pernottamento nei bed and breakfast. Si tratta di soluzioni meno formali rispetto agli hotel, ma anche più economiche (o almeno così dovrebbe essere). Nonostante l'offerta sia cresciuta nel corso degli ultimi anni, anche i prezzi dei b&b hanno marciato in rialzo. E pure di parecchio.

La corsa dei prezzi

La fotografia della situazione arriva da uno studio dell'Osservatorio B&B Cashless di SamUp, che ha elaborato i dati forniti da Istat, Altroconsumo e Ministero dello Sviluppo Economico

Si scopre così che i prezzi medi per una notte in b&b sono cresciuti del 30% dal 2020. Va detto però che la forbice di convenienza rispetto agli hotel si è addirittura ampliata, visto che gli alberghi costano in media il 39% in più rispetto a 5 anni fa.

La classifica delle città più care

Dove si trovano i prezzi dei b&b più cari e quelli più economici? La classifica delle città italiane più care vede al primo posto Venezia, dove un pernottamento in un bed and breakfast costa in media 169,5 euro. Ad una distanza tutto sommato notevole c'è Milano, seconda in classifica con 147,9€. Sul gradino più basso del Podio c'è Firenze, dove i prezzi di una notte in bimbi sono mediamente di 137,3.

Rovesciando la classifica, la palma della città più economica spetta a Sassari, dove il prezzo di un pernottamento in bed and breakfast si aggira attorno ai 70€, meno della metà rispetto a Venezia.
Va segnalato il caso particolare di Napoli, che è l'unica grande città dove i prezzi negli ultimi cinque anni sono addirittura calati, sia pure di poco (-2,3%).

Boom boom dei pagamenti contactless

L'indagine mette in evidenza anche un altro aspetto interessante, ossia l'evoluzione verso il contactless dei pagamenti. Le transazioni digitali infatti continuano a segnare incrementi notevoli. Basta pensare che nel secondo trimestre del 2025, rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso, il Tap to pay è cresciuto del 103%.

martedì 24 giugno 2025

Mercati emergenti, ci sono grandi opportunità in giro

Nel corso di questo 2025 stiamo assistendo ad un forte interesse degli investitori istituzionali verso il debito locale dei mercati emergenti. La spiegazione sta nei rendimenti che assicurano in alcuni casi oltre il 10%, ben al di là di gran parte degli altri strumenti a reddito fisso (tanto nei paesi sviluppati ma anche in altri paesi emergenti).

Prospettive forti per il debito dei mercati emergenti

Secondo alcuni analisti la situazione potrebbe addirittura diventare più interessante nei prossimi mesi. Le prospettive a medio termine infatti fanno ritenere che il rendimento del debito dei mercati emergenti potrebbe giungere ad un rendimento complessivo annuo attorno al 15%.
Ma perché accade tutto questo?

Il ruolo delle valute

Un elemento fondamentale che potrebbe sostenere questa dinamica crescente è l'andamento del dollaro americano. Il biglietto verde ha perso quota In questa prima metà del 2025. Il Dollar Index Infatti è sceso sotto quota 100 e continua a manifestare segnali di debolezza, visto che l'oscillatore stocastico continua a essere più vicino all'ipervenduto. 

Se questa tendenza dovesse continuare, ne verrebbero favorite le valute dei mercati emergenti, in special modo quelle con rendimenti elevati. Basta pensare alla Real brasiliano, alla Lira turca e alla Sterlina egiziana.

Il ruolo degli accordi commerciali per i paesi asiatici

Un altro aspetto importante a sostegno del debito dei mercati emergenti riguarda le politiche commerciali. Le condizioni macroeconomiche di paesi emergenti sono resilienti ed hanno una vulnerabilità esterna molto contenuta. Per questo continueranno a trarre beneficio dagli accordi commerciali, e ciò crea un ambiente fertile sia per le loro valute che per le obbligazioni locali. In molti casi potreste trovare questi asset anche sulle migliori piattaforme trading gratis.

L'impatto delle politiche monetarie

Un altro importante driver che sostiene il debito locale dei mercati emergenti è l'approccio di politica monetaria delle banche centrali. Il calo delle inflazione consentirà un approccio più accomodante. Ma nonostante ci saranno delle riduzioni al costo del denaro, i tassi reali continueranno ad essere molto elevati. Inoltre la flessione dei rendimenti dei titoli di Stato americani (Treasuries) dovrebbe fornire un ulteriore impulso positivo.

giovedì 19 giugno 2025

Economia sommersa, i paesi più colpiti sono Cina, Stati Uniti e India

Uno dei fenomeni di cui si sente parlare spesso anche in Italia è il lavoro in nero, ossia quello che sfugge alla disciplina contrattuale e alla tassazione. L'economia sommersa però non è un fenomeno prettamente italiano, anzi è diffusa in modo pressoché globale e affligge soprattutto i paesi emergenti, dove addirittura ci sono interi settori economici che ne sono caratterizzati.

I numeri sull'economia sommersa

Secondo alcune stime, a livello globale l'economia sommersa vale circa 12.500 miliardi di dollari. I paesi dove il ricorso al lavoro nero è più diffuso sono Cina, Stati Uniti e India. In questi paesi ci sono i mercati neri più grandi al mondo, con un panorama di attività che sfugge al controllo della legge assai ampio e radicato.

Per giungere a questa particolare classifica, dove l'Italia si colloca al dodicesimo posto, gli analisti di Ernst & Young hanno elaborato un modello che sfrutta oltre 70 variabili che servono a stimare il peso dell'economia sommersa in 131 paesi che rappresentano la quasi totalità dell'intero prodotto interno lordo globale.

Tra questi strumenti c'è la richiesta di contante ed in particolare di moneta liquida, che rappresenta il mezzo di pagamento tipico negli ambiti non tracciabili. Più intensivo l'uso di contante in banconote di grosso taglio, più è probabile che si annidino transazioni che sfuggono all'occhio del fisco.

La Cina regina del sommerso

Come abbiamo detto, il paese dove l'economia sommersa e più radicata è la Cina, con un valore stimato di 3600 miliardi di dollari. Una cifra che corrisponde a un quinto del PIL nazionale. Il numero di lavoratori in nero è stimato in circa 200 milioni. Il lavoro sommerso in Cina riguarda soprattutto servizi a bassa specializzazione come autisti, tate e meccanici di strada.

Gli altri due paesi sul podio

L'economia sommersa è essere diffusa anche negli Stati Uniti, dove è pari a 1400 miliardi di dollari, ossia il 5% del PIL. Al terzo posto invece c'è l'India dove il valore dell'economia sommersa è di circa 930 miliardi di dollari, ma qui rappresenta addirittura il 26% del PIL.
La posizione dell'Italia nella classifica è la dodicesima. Qui da noi il sommerso vale 180 miliardi di dollari, come evidenziato anche dal rapporto ISTAT sul lavoro, che equivale al 7,8% del PIL. Le attività illegali sfiorano i 20 miliardi. 

lunedì 16 giugno 2025

Mercati finanziari, le tensioni in Medioriente e la FED al centro dell'attenzione

Le tensioni geopolitiche in Medio Oriente hanno fatto di nuovo irruzione sui mercati finanziari, creando un clima di forte nervosismo. La questione rimarrà al centro dell'attenzione anche nei prossimi giorni, a seguito dell'attacco israeliano agli impianti nucleari iraniani. Si teme un allargamento del conflitto nella regione.

I principali eventi sui mercati finanziari

Oltre alle tensioni in Medioriente, i mercati finanziari seguiranno anche i progressi nei negoziati commerciali tra gli Stati Uniti e altri Paesi del mondo.

Ma gli USA saranno al centro dell'interesse degli investitori soprattutto per la riunione della Fed. Si prevede che la banca centrale lascerà invariato il tasso sui fondi federali, ma gli investitori seguiranno attentamente le proiezioni economiche e il dot plot per capire se lo scenario in corso potrà incidere sulle mosse future dell'istituto americano. Tutto questo potrebbe incidere sull'andamento del dollaro, dopo che l'Index DXY negli ultimi giorni si è stabilizzato oltre quota 98, disegnando una candela doji sul grafico settimanale.

Dai macro in uscita in Europa

In Europa, si prevede un leggero miglioramento della fiducia dei consumatori nell'Eurozona, mentre i dati finali dell'indice dei prezzi al consumo (IPC) confermeranno probabilmente il rallentamento dell'inflazione annua all'1,9%. Nel frattempo l'euro ha continuato a guadagnare terreno sul mercato valutario, e potrebbe fare breakout dal triangolo forex ascendente oltre la soglia di 1,15.

Le altre riunioni di politica monetaria

Il calendario fittissimo prevede anche altre riunioni di politica monetaria. Oltre alla Federal Reserve, si riuniranno anche la Banca Popolare Cinese, la Banca del Giappone e la Banca d'Inghilterra. Tutti dovrebbero mantenere invariati i tassi di interesse.

Sono attese anche decisioni da parte delle banche centrali di Svizzera, Svezia, Norvegia, Turchia, Brasile, Indonesia, Filippine e Taiwan. In particolare, si prevede che la Banca Nazionale Svizzera taglierà i tassi di interesse di 25 punti base, con crescenti speculazioni su un taglio più profondo che potrebbe reintrodurre tassi negativi.

Il vertice G7

Altro evento di grande interesse per i mercati finanziari è il vertice del G7 in Canada, dove i leader delle maggiori economie mondiali si incontreranno per discutere delle principali sfide globali. Mai come in questa circostanza, gli interventi dei vari leader saranno attentamente seguiti dagli investitori.

mercoledì 11 giugno 2025

Imprese, in Italia una crescita del 16% in questo millennio

L'Italia è stata sempre una nazione a forte vocazione imprenditoriale, e adesso ci sono alcuni numeri che confermano questa rinnovata tendenza. Durante questo millennio infatti in Italia il numero di imprese è cresciuto del 16%.

Alcuni dati sulle imprese

Questi dati sono il frutto di una ricerca condotta da Verum Partners, un gruppo che offre consulenze e servizi alle PMI e alle startup. 

In questi ultimi 25 anni si è passati da circa 3,7 milioni di imprenditori che c'erano nel 2001 ai quasi cinque milioni di quest'anno. La media è di 21 imprenditori ogni mille lavoratori, in crescita rispetto ai 19 di inizio secolo. Questo numero colloca così l'Italia in cima all'Europa per tasso di imprenditorialità.

Voglia di fare nonostante gli ostacoli

La vocazione a fare impresa da parte dei cittadini italiani purtroppo si scontra quotidianamente con grandi difficoltà, che si manifestano già in fase embrionale, per via dei permessi e delle autorizzazioni che sono richieste alle imprese per riuscire a sorgere.

Il nostro ecosistema fatica a sostenere lo spirito imprenditoriale del Paese, lo dimostra il fatto che l'Italia è soltanto al 58esimo posto mondiale nella classifica "Doing Business", che misura la facilità di avviare una propria attività. Siamo tra i peggiori al mondo.

Essere imprenditore comporta sacrifici

Fare impresa in Italia comporta enormi sacrifici, anzitutto in termini di tempo. La ricerca evidenzia infatti che la media di ore di lavoro dell'imprenditore italiano è di 41 a settimana, ossia circa 5 ore in più rispetto a quella dei suoi lavoratori. Inoltre moltissimi imprenditori non riescono a concedersi più di una settimana all'anno di vacanza (ma non rinunciano quasi mai al pranzo, che viene visto come un'occasione per sviluppare contatti di affari).

Indietro nelle imprese innovative

Un dato che non fa piacere riguarda le startup innovative. Siamo decisamente indietro rispetto ai principali paesi europei. Da noi ce ne sono 234 ogni milione di abitanti, mentre la Gran Bretagna arriva a 406 e la Germania 386. Per non parlare poi dell'Estonia, dove addirittura il numero arriva a 865.

giovedì 5 giugno 2025

Tasso di interesse, nessun cambiamento dalla Bank of Canada

Non sono giunte sorprese dalla riunione di politica monetaria della Bank of Canada. Il comitato dell'istituto nordamericano ha deciso infatti di lasciare invariato il livello del tasso di interesse al 2,75%, così come si aspettavano i mercati finanziari.

Perché confermare il tasso di interesse

La decisione di non modificare il livello del tasso di interesse nasce dal clima di grande incertezza, tanto sul fronte nazionale che su quello internazionale. 

Se da un lato è vero che l'inflazione ha continuato a mostrare segnali di discesa, tanto che quella complessiva è giunta al di sotto dell'obiettivo del 2%, è altrettanto vero che l'inflazione core - ossia quella depurata degli elementi più volatili - rimane ancora molto elevata, suggerendo così di non procedere ad ulteriori tagli al tasso di interesse.

Il problema dei dazi

Ma c'è un altro fattore che più di tutti preoccupa le autorità monetarie canadesi: la battaglia tariffaria con i vicini di casa statunitensi. La scelta a sorpresa di Trump di raddoppiare le tariffe sulle importazioni di acciaio e alluminio ha creato uno shock sui mercati, con il Canada che sarebbe uno dei paesi più colpiti. Tuttavia, i negoziati da Ottawa e Washington hanno ridato un poco di ottimismo e mitigato i timori riguardo i possibili effetti di questa ulteriore mossa di Trump.

NB. Le notizie sui dazi hanno creato molta volatilità sul mercato valutario, generando un terreno fertile per chi adotta strategie forex scalping 1-5 minuti.

L'economia regge

Nel frattempo alcuni dati macroeconomici hanno confermato la resilienza dell'economia canadese. Il PIL del primo trimestre e le vendite al dettaglio hanno rincuorato i mercati. Nel frattempo l'aumento dei prezzi del petrolio, uno dei prodotti maggiormente esportati dal Canada, ha ulteriormente rafforzato le entrate finanziarie del paese.

Il dollaro avanza

In questo scenario complessivo continua a marciare forte il dollaro canadese, che ha raggiunto il livello più alto degli ultimi otto mesi rispetto al collega americano. Il cambio USDCAD è sceso infatti sotto 1,37, come non accadeva dalla fine del 2024. Inoltre sta formando un diamante Diamond pattern. Negli ultimi cinque mesi la valuta canadese si è apprezzata quasi del 6%, rispetto a quella a stelle e strisce.

martedì 3 giugno 2025

Commercio online, continua il trend crescente in Italia

Continuano ad essere imponenti i numeri del commercio online in Italia, come dimostra il fatto che il valore degli acquisti online è salito a 40,1 miliardi di euro nel corso di questi primi mesi del 2025. Ciò segna una crescita del 6% rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso.

La corsa del commercio online

Secondo una recente indagine dell'osservatorio E-commerce B2C Netcomm, questa tendenza rimane costantemente in rialzo, anche se rispetto al ritmo osservato negli anni scorsi la crescita del commercio online risulta più tenue. 

Accanto a un aumento in termini numerici si accompagna anche un cambiamento di strategia. Il commercio online oggi non è più soltanto un canale di vendita, ma è diventato anche uno strumento con cui i brand realizzano connessioni sempre più strette con i consumatori, ai quali vengono offerte esperienze sempre più personalizzate e interattive.

L'andamento per settore

L'aumento degli affari tramite internet ha coinvolto tutti i settori in maniera trasversale. Tuttavia ciò è avvenuto in maniera non omogenea, perché in alcuni ambiti la crescita è stata più forte che in altri. 

Sotto questo aspetto brilla soprattutto il settore Food&Grocery, dove l'incremento del commercio online è stato del 7%, con un valore di 4,9 miliardi di euro. In tale settore spicca soprattutto il segmento Food Delivery, dove l'aumento rispetto ai primi mesi del 2025 è stato dell'8%, e oggi vale il 46% del commercio online alimentare. Il segmento dell'enogastronomia si distingue invece per il suo forte impatto sull'export, dove c'è stata una crescita del 3% rispetto all'anno precedente.

Gli altri settori che brillano nell'e-commerce

Un altro settore che si è particolarmente distinto nell'ultimo anno è quello Beauty and Pharma, che ha realizzato una crescita del 7%, raggiungendo 3,1 miliardi di euro di affari. Forte progresso anche per il settore dell'arredamento e Homeleving, con una crescita del 6% a quota 4,7 miliardi di euro. 

Risultati ragguardevoli nel commercio online vanno sottolineati anche per il settore dell'abbigliamento, in crescita del 5% rispetto al 2024, nell’informatica ed elettronica di consumo e anche nel settore auto e ricambi.

giovedì 29 maggio 2025

Bilancio in rosso, Nissan vara un piano shock per evitare Il tracollo

La crisi che sta attraversando il settore dell'automobile non riguarda solamente i player europei, ma quelli di tutto il mondo. Perfino il colosso giapponese Nissan si trova a che fare con un bilancio pessimo, al punto da dover intervenire con un maxi piano di risanamento per evitare il compasso finanziario.

Un terribile bilancio

L'anno fiscale 2024-2025 è stato chiuso da Nissan con una perdita netta di bilancio pari a 671 miliardi di yen, che al cambio attuale sono oltre 4 miliardi di euro. Si è trattato del peggior risultato mai raggiunto nella storia del gruppo nipponico. 

Il tentativo di fondersi con l'altro marchio storico Honda è fallito per via di divergenze riguardo al taglio dei costi, e così la casa giapponese si è trovata di fronte ad uno scenario drammatico da dover affrontare da sola.

Il maxi piano di Nissan

A pressare enormemente sul management della casa giapponese sono i 5,6 miliardi di dollari di debiti che vanno in scadenza il prossimo anno. Senza un rapido risanamento dei conti, il tracollo finanziario si avvicinerà sempre di più. Ecco perché la casa automobilistica giapponese ha messo a punto un piano straordinario che mira a raccogliere oltre 1000 miliardi di yen, ossia 7 miliardi di dollari. Un piano che si articola in emissione di titoli, dismissioni e finanziamenti garantiti.

Obbligazioni in rampa di lancio

Il fulcro di questo piano prevede l'emissione di un prestito obbligazionario e altri strumenti convertibili fino a 630 miliardi di yen, oltre ad un prestito sindacato da un miliardo di sterline garantito da UK Export Finance, un'agenzia governativa del Regno Unito che supporta l'export.

Le dismissioni dell'azienda

Un'altra parte del piano prevede la vendita di alcune partecipazioni detenute dal gruppo Nissan. Quella ad esempio in Renault, posseduta al 15%, e quella in AESC Group, azienda che produce batterie. 

Ma nel calderone potrebbero finire anche degli impianti produttivi in Sudafrica in Messico, oltre alla sede centrale di Yokohama ed alcune proprietà immobiliari negli Stati Uniti. Proprio la cessione della sede di Yokohama rappresenta il simbolo più doloroso della crisi della casa automobilistica giapponese, visto che fu l'emblema del rilancio aziendale del 2009.

giovedì 22 maggio 2025

Prezzo delle azioni BYD al nuovo record storico

Grazie ad un guadagno di circa il 72% dall'inizio dell'anno, il prezzo delle azioni di BYD, azienda cinese leader mondiale dei veicoli elettrici, ha raggiunto un nuovo record storico alla borsa di Hong Kong.

La corsa del prezzo

Alla chiusura del listino azionario nella giornata di mercoledì, il prezzo delle azioni BYD ha raggiunto 460 HKD, un importo mai raggiunto prima d'ora. Al cambio attuale sono circa 58 dollari americani (per dati aggiornati si veda Pocket Option link Italia). 

La cosa particolare è che il prezzo delle azioni alla borsa di Hong Kong ha superato quello sul listino di Shenzhen. Normalmente il prezzo del titolo sul continente è sempre più alto rispetto a quello sull'isola, mentre stavolta è il 5% inferiore (al netto della conversione valutaria tra Hong Kong Dollar e yuan).

L'ultimo scatto

L'ultimo impulso deriva anche dal debutto di Amperex Technology (CATL), il più grande produttore cinese di batterie al mondo e la più grande IPO dell'anno sul mercato globale (alla Borsa di Hong Kong guadagno a del 10,19%), che ha stimolato l'intero settore.

Vendite ed export in volo

La corsa del titolo BYD deriva soprattutto dalla spinta delle vendite, che nel 2024 sono state ai livelli più alti di sempre. L'azienda si è confermata il maggior venditore al mondo di veicoli ibridi plug-in e di auto elettriche, soprattutto grazie alla forte integrazione verticale della sua linea di produzione, che gli ha consentito di tenere i prezzi bassi e guadagnare quote di mercato rispetto alla concorrenza. 

Nel corso dei primi quattro mesi di quest'anno, BYD ha visto crescere la quota delle sue esportazioni dal 23% al 38% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.

Analisti ancora fiduciosi

Va detto che, oltre a un quadro tecnico confortante (soprattutto se si utilizzano le Bollinger bands), le opinioni degli analisti vedono per il colosso cinese dei veicoli elettrici ulteriori rialzo in futuro

Gli esperti di Citigroup hanno fissato il target price a 727 HKD, confermando la raccomandazione di acquisto ai propri clienti. Questo perché BYD è meglio posizionato rispetto alla concorrenza sul fronte delle esportazioni, che sarà un passaggio sempre più necessario per i produttori cinesi dal momento che il mercato interno è praticamente saturo.

martedì 20 maggio 2025

Banche e clienti, un rapporto fondato per lo più sulla pigrizia

In Italia c'è un fattore invisibile che lega le banche ai loro clienti, si tratta della pigrizia. La maggior parte dei cittadini vorrebbe cambiare il proprio istituto di riferimento, ma non lo fa per questo motivo e finisce per accontentarsi di quello che gli viene offerto. Ma tutto questo alla fine non è un vantaggio per le nostre banche, perché le stimola poco a cambiare e a diventare più concorrenziali rispetto alle altre.

Scarsi stimoli per le banche 

In tutti i campi dell'economia, la competizione è un elemento essenziale per stimolare il cambiamento e la ricerca di una maggiore efficienza e competitività delle imprese. Lo stesso vale anche per le banche. Se fosse più semplice cambiare il proprio istituto di riferimento, siamo sicuri che l'intero sistema creditizio riceverebbe uno stimolo forte per migliorare.

In base a un'analisi condotta da Research Dogma, condotta su oltre mille clienti bancari e investitori, emerge che se circa il 60% dei clienti pensa di cambiare istituto, appena il 22% finisce per farlo per davvero. In sostanza circa il 65% degli insoddisfatti preferisce accontentarsi di quello che ha, piuttosto che cercare qualcosa di meglio.

Atteggiamento sbagliato

Il motivo principale per cui i clienti scelgono una fedeltà quasi assoluta alla propria banca è la pigrizia. Ciò va inteso non solo come la mancanza di voglia di cercare un nuovo riferimento bancario, ma anche come il fastidio di doversi adattare a nuovi contesti e nuovi procedure una volta effettuato il cambiamento. Per oltre la metà degli intervistati questo rappresenta il principale ostacolo al cambiamento.

Ma altri ostacoli sono rappresentati dalla paura di non trovare una vera alternativa migliore nelle altre banche, oppure di doversi scontrare con errori o complicazioni durante il passaggio verso un nuovo Istituto. Altresì molto alta è la quota di coloro che temono che dietro il cambiamento della banca ci siano più rischi che opportunità.

Semplificare e agevolare

Come abbiamo sottolineato però, il cambiamento è un motore importante che spinge le banche a migliorarsi e diventare più competitive. Per questo il cliente dovrebbe essere agevolato sempre di più nel processo di cambiamento, che dovrebbe diventare più semplice ma soprattutto più trasparente, azzerando i rischi che oggi come oggi vengono associati (spesso erroneamente) a questo cambiamento.

mercoledì 14 maggio 2025

Tassi di interesse, la BCE proseguirà al ritmo di 25 punti base

I continui segnali favorevoli che giungono dal fronte caldo dell'inflazione dovrebbero spingere la Banca Centrale Europea a tagliare nuovamente i tassi di interesse nella prossima riunione. Probabilmente a giugno verrà fatta un'altra sforbiciata per 25 punti base.

Inflazione, dazi e tassi di interesse

La banca di Francoforte ha due esigenze importanti quando decide di muovere i tassi di interesse. Quella prioritaria è riportare l'inflazione stabilmente verso l'obiettivo del 2%, ma al tempo stesso i policy makers europei non devono deprimere l'economia che già manifesta segnali di incertezza. 

Sotto questo aspetto sono molto importanti le novità giunte negli ultimi giorni dal fronte della battaglia commerciale. Gli accordi Stati Uniti con UK e Cina fanno pensare che l'Europa possa essere la prossima a trovare un'intesa con Trump. Ciò eliminerebbe un fattore di rischio dell'economia.

Nessuna necessità di accelerare

La conseguenza sarebbe che la Eurotower avrebbe molte meno pressioni di ridurre più rapidamente possibile il costo del denaro per stimolare la crescita. Nell'ultimo periodo infatti diversi analisti hanno considerato come concreta la possibilità che la BCE potesse spingere sull'acceleratore dei tagli, dopo le sette riduzioni consecutive già effettuate. Il tasso di interesse attualmente è al 2,25%, e dovrebbe essere portato al 1,75%, subito dopo l'estate. Entro fine anno è atteso un altro taglio fino al 1,5%.

NB. Se sei interessato a negoziare le valute, potresti trovare convenienti i broker 0 zero spread.

Gli ultimi report sull'inflazione

Come dicevamo, la priorità della Eurotower è l'inflazione, che sta marciando da diverso tempo verso il target. Nel mese di marzo il tasso annuo è sceso al 2,2%, con un raffreddamento evidente anche nella sua componente core. La stessa BCE ha ammesso che il percorso di disinflazione è ben avviato.

L'euro rispetto al dollaro

C'è però da considerare anche il ruolo dell'euro. La valuta unica negli ultimi mesi si è apprezzata rispetto al Dollaro. Il cambio EUR/USD viaggia verso 1,10 dopo aver disegnato un testa e spalle trading, e questo rafforzamento ha reso più convenienti le importazioni aiutando anche a contenere l'inflazione. Tuttavia una valuta troppo forte frena la competitività dell'export. Proprio per questo motivo i segnali di schiarita dal fronte della battaglia dei dazi sono molto importanti, perché riducono questo effetto negativo dell'apprezzamento valutario.

lunedì 12 maggio 2025

Prezzi sempre più alti, anche la pizza diventa un prodotto molto caro

C'era una volta un prodotto alimentare che caratterizza il nostro Paese in tutto il mondo, e che era sinonimo di convivialità ed economicità. Ma la pizza almeno quest'ultima caratteristica sembra averla persa, perché i prezzi sono cresciuti e il conto da pagare sta diventando sempre più salato.
Vale la pane ricordare che in Italia il business delle pizzerie continua ad essere enorme, visto che vale circa 25 miliardi di euro l'anno. In media ognuno di noi consuma circa 7,8 kg di pizza ogni anno.

L'aumento dei prezzi

Non c'entrano niente le pizze cosiddette "gourmet", che sono sempre state care ma per altri motivi. Sono i prezzi delle pizze più tradizionali, quelle che erano alla portata di tutti, ad essere diventati più alti un po' ovunque. E' quanto emerge da un'indagine condotta dal centro formazione e ricerca sui consumi (CRC), ha analizzato i dati Istat pubblicati dal Mimit (Ministero delle imprese e del Made in Italy).

Negli ultimi sei anni i prezzi di un pasto in pizzeria sono saliti in media del 18,3%. Il costo medio a persona è salito infatti a 12,14 euro (una pizza e una bevanda, con coperto e servizio se previsti). Colpa soprattutto dell'aumento dei costi di materie prime ed energia (soprattutto dopo l'invasione dell'Ucraina).

L'andamento dei prezzi a livello geografico

A livello geografico la situazione rimane comunque molto variegata e disomogenea. I prezzi più alti sono per lo più nel Nord Italia. In particolare spicca Reggio Emilia, dove il costo medio di un pasto in pizzeria è di 17,58 a persona. Leggermente di meno si paga a Siena, 17,24 euro a persona, mentre sul gradino più basso del Podio delle città più salate dove mangiare la pizza si colloca Macerata, con 16,25 euro. Rispetto alla media nazionale sono sette le province dove il prezzo è più elevato rispetto ai 14 euro a consumazione.

Conto basso: vince Livorno

E le città più economiche? Chi sta pensando a Napoli sbaglia. Anche nel capoluogo partenopeo, soprattutto per l'enorme afflusso di turisti degli ultimi tempi, i prezzi della pizza sono andati in crescendo. Sul gradino più basso della classifica si siede Livorno, dove il pasto medio in pizzeria costa appena 8,75 euro. Seguono Reggio Calabria con 9,15 e Catanzaro dove si spendono poco meno di 10 euro.

martedì 6 maggio 2025

Criptovalute, il Bitcoin torna più vicino alla soglia dei 100.000 dollari

Il mercato delle criptovalute ha ritrovato di nuovo slancio negli ultimi tempi, grazie soprattutto al rinnovato appetito al rischio che si respira tra gli investitori. Nonostante il clima resti incerto per via della battaglia commerciale innescata dagli USA, qualche segnale distensivo ha favorito il ritorno verso gli asset più rischiosi.

Lo scenario sul mercato delle criptovalute

Venerdì scorso la notizia che la Cina sta valutando la possibilità di aprire a colloqui commerciali con gli Stati Uniti ha dato una spinta al mercato. Il Bitcoin è risalito così fino a 97.000, dopo aver fatto un deciso breakout oltre la resistenza chiave a quota 95.000. 

Anche se in questo avvio di settimana c'è stata una piccola marcia indietro, abbozzando un uncino di Ross 123 high low, se lo slancio rialzista dovesse riprendere allora il Bitcoin potrebbe avvicinarsi alla soglia dei 100mila dollari.

L'importanza del fattore tassi di interesse

Una spinta al prezzo della criptovaluta più importante è arrivata anche dalla prospettiva di futuri ulteriori tagli dei tassi da parte delle banche centrali. Con i costi di finanziamento che si abbassano, l'investimento nel reddito fisso diventa meno remunerativo e questo aumenta l'attrattività degli asset finanziari più rischiosi.

Nel frattempo, l'interesse verso gli etf spot su Bitcoin continua ad essere crescente. Sono ormai tre settimane che gli afflussi di capitale sono in crescita costante. Questa tendenza rappresenta una spinta rialzista importante per le criptovalute.

NB. Le criptovalute sono asset che si prestano bene all'utilizzo del demarker indicator, uno strumento di trading molto efficace.

La grande novità in Arizona

Un piccolo slancio al Bitcoin è arrivato anche dalla decisione dello stato americano dell'Arizona di approvare un disegno di legge che autorizza il tesoriere dello Stato ed il sistema pensionistico un investimento fino al 10% dei propri fondi disponibili in asset digitali, in particolare Bitcoin. 
Il disegno di legge adesso dovrà essere firmato dalla governatrice democratica Katie Hobbs, che potrebbe così prendere l'Arizona il primo stato americano a detenere Bitcoin come asset di riserva. Questa autorizzazione ha rafforzato la domanda istituzionale di criptovalute.

Incertezze

È chiaro tuttavia che lo scenario attuale potrebbe cambiare radicalmente in relazione all'evoluzione dei negoziati commerciali, soprattutto quelli tra Stati Uniti e Cina. Una guerra a colpi di tariffe potrebbe spingere l'economia americana in una fase di stagflazione, ossia crescita stagnante e inflazione elevata. Tale condizione probabilmente finirebbe per alimentare l'avversione al rischio, con inevitabili conseguenze sugli asset come Bitcoin e le valute digitali. Peraltro l'inflazione elevata potrebbe rallentare il percorso accomodante della Federal reserve, e tassi più alti non favoriscono gli asset più rischiosi.

giovedì 1 maggio 2025

Imprese italiane, ecco la strategia per attenuare i dazi di Trump

La temporanea sospensione dei dazi da parte dell'amministrazione Trump ha offerto una piccola boccata di ossigeno alle imprese italiane, che tuttavia si stanno preparando anche allo scenario peggiore e corrono ai ripari.

I timori delle imprese italiane

Come ha evidenziato un sondaggio che è stato realizzato da Unioncamere e dal Centro Studi Tagliacarne, una grossa fetta delle imprese italiane sta cercando delle soluzioni per affrontare le possibili conseguenze dovute alle tariffe commerciali statunitensi. Il mercato a stelle e strisce infatti rappresenta una quota fondamentale del nostro export ed un mercato di sbocco molto remunerativo.

L'indagine evidenzia che il 56% delle aziende italiane è convinta che ci sarà una riduzione delle vendite verso il mercato americano. Il 26% delle imprese teme inoltre che ci sarà un incremento dei costi di approvvigionamento, e una quota simile evidenzia il pericolo che ci sia una flessione di vendite di beni intermedi e semilavorati, che spesso transitano per la trasformazione in altri paesi prima di finire sul mercato USA. Il 19% inoltre collega ai dazi un incremento della concorrenza di aziende di altri paesi, che non potendo più esportare degli USA lo faranno verso l'Europa.

La strategia della diversificazione

Tutti questi timori stanno spingendo le imprese italiane a diversificare i mercati di destinazione dei loro prodotti, così da attenuare in parte gli effetti dei dati. Le nostre aziende esportano mediamente in 11 paesi, e questo in parte già è un dato positivo in questa battaglia che si apprestano ad affrontare. Soprattutto le imprese del Nord Italia possono vantare una maggiore diversificazione, mentre quelle che hanno più difficoltà in tal senso sono quelle del Meridione, dove in media l'export si indirizza verso 6 Paesi stranieri.

Più export verso l'UE

Il 25% delle imprese contattate nelle indagini e si appresta a espandersi verso ulteriori mercati all'interno dell'Unione Europea e quasi un quinto lo farà anche fuori dall'Unione Europea. Soltanto il 3% invece vede come possibile soluzione anche quella di spostare la produzione direttamente negli Stati Uniti. Un terzo delle aziende ritiene invece che alla fine sarà costretta ad aumentare i prezzi di vendita per compensare l'effetto dei dazi.

lunedì 28 aprile 2025

Mercati finanziari, dazi in focus ma dagli USA arrivano anche il report su inflazione e lavoro

l tema dei dazi rimarrà ancora cruciale in questa settimana. I mercati finanziari sperano di vedere segnali di de-escalation tra USA e Cina. Intanto sul fronte macro sono attesi alcuni report interessanti (soprattutto quello sul lavoro USA), e inoltre continuerà ancora la stagione delle trimestrali.

Appuntamenti negli USA per i mercati finanziari

Come detto, ancora una volta i riflettori dei mercati finanziari saranno puntati sulla Casa Bianca, per capire che direzione prenderà Trump sulla questione dazi. Negli ultimi giorni ci sono stati alcuni segnali di apertura a possibili accordi con la Cina e anche con l'UE. Segnali che sono stati confermati dagli incontri informali avuti dal presidente USA con altri leader mondiali, in occasione dei funerali di Papa Francesco.

Ma dagli USA sono attesi anche degli importanti dati macro. Quelli più interessante sono relativi al PIL del primo trimestre 2025, che dovrebbe mostrare un rallentamento significativo se non addirittura una possibile contrazione. L'altro report molto atteso riguarda l'occupazione: si prevede che l'economia statunitense avrà aggiunto 130 mila posti di lavoro ad aprile, in calo rispetto ai 228 mila di marzo. Il tasso di disoccupazione dovrebbe rimanere stabile al 4,2%, mentre la crescita dei salari è vista allo 0,3% su base mensile. Anche il rapporto sull'inflazione PCE è sul radar. Tutto ciò influenzerà il dollaro, che negli ultimi giorni sembra disegnare un uncino di Ross 123 high low.

Il programma in Europa

Nel vecchio continente, gli operatori dei mercati finanziari analizzeranno i dati flash sul PIL e sull'inflazione per l'Eurozona. Si prevede che l'economia sia cresciuta dello 0,2% su base trimestrale. Sul fronte dell'inflazione, il tasso è probabilmente sceso al 2% ad aprile dal 2,2% di marzo, in linea con l'obiettivo della BCE.
Il calendario del Regno Unito è leggero, con solo poche pubblicazioni in programma, l'indice nazionale dei prezzi delle case e gli indicatori monetari e creditizi della Banca d'Inghilterra.

Asia e resto del mondo

In Cina, tutti gli occhi saranno puntati sui PMI ufficiali delle NBS e sul PMI manifatturiero Caixin di aprile, indicatori chiave di come i recenti dazi statunitensi e le contromisure cinesi stiano influenzando il settore manifatturiero. Nel frattempo, si prevede che la Banca del Giappone manterrà i tassi di interesse invariati.
Altrove nelle Americhe, l'attenzione dei mercati finanziari si sposterà sulla crescita del PIL messicano, sulla crescita mensile del PIL per il Canada e sui PMI manifatturieri globali di Canada, Brasile e Messico.

Il mercato azionario

Questa settimana sarà ancora intensa sul mercato azionario, viste le numerose trimestrali in uscita (alcuni di questi titoli si possono negoziare facendo trading con paypal broker). Sono attesi rapporti da Apple, Microsoft, Amazon, Meta, Eli Lilly, Qualcomm, Visa, Coca-Cola, Honeywell, Mastercard, McDonald's, Exxon Mobil e Chevron.

mercoledì 23 aprile 2025

Banche italiane, i fattori ESG scavano un solco tra quotate e non

Quando si parla di fattori ESG (enviromental, social e governance) si fa riferimento ad alcuni aspetti estremamente importanti, che sono sempre sotto la lente di ingrandimento delle banche italiane quotate in borsa. Devono infatti rispettare dei paletti rigidi riguardo l'impegno in tati ambiti. Ma se il focus si sposta sugli istituti non quotati, la situazione diventa particolarmente deludente.

Quanto sono indietro le banche italiane

Un rapporto di Standard Ethics ha messo infatti in evidenza che le banche italiane che non sono quotate in borsa risultano essere largamente insufficienti sui fattori ESG non soltanto se li confrontiamo rispetto alle banche quotate, ma anche rispetto allo scenario internazionale.

Alcuni numeri

L'analisi è stata condotta su 43 istituti, sia gruppi che singoli aziende, studiando per ognuno di loro ben 23 marcatori che sono distribuiti in quattro macro aree di appartenenza. La prima è quella delle procedure e Policy ESG. La seconda sono i target ESG, poi le valutazioni e infine la Policy ESG attinente al settore bancario.

I risultati di questa analisi hanno evidenziato uno scenario particolarmente deludente. Soltanto 1 banca su 7 pubblica una Policy ambientale, soltanto 1 su 11 ha una Policy sui diritti umani, e addirittura nessuna ha una Policy sull'intelligenza artificiale. Riguardo invece alla Policy sulla parità di genere ce l'hanno solamente il 19% delle banche italiane esaminate, mentre il 26% pubblica una Policy su diversità e inclusione.
Gli unici risultati che si avvicinano a quelli degli istituti quotati riguardano la parte ambientale. Ma questo probabilmente deriva dal fatto che si tratta della Policy che più è inodore di futura regolamentazione.

L'uguaglianza di genere

Ciò che invece delude notevolmente riguarda il tasso di rappresentanza del genere femminile nel CdA, che è di circa il 30%. E soltanto in 1 banca su 6 viene raggiunta la parità di genere nei consigli amministrazione. Un altro fattore di enorme divario rispetto alle banche italiane quotate riguarda i diritti umani, perché mentre il 100% degli istituti quotati a una Policy sui diritti umani, per gli istituti non quotati questa percentuale scende addirittura al 9%.

mercoledì 16 aprile 2025

Prezzo dell'oro ancora da record: superati i 3.300 dollari per oncia

Lo scenario economico globale continua a fornire un terreno fertile per l'oro, le cui quotazioni hanno superato anche i 3.300 dollari per oncia. La turbolenza innescata dalla politica commerciale aggressiva di Donald Trump, e i suoi dietrofront improvvisi che alimentano l'incertezza, sono il vero motore del prezzo dell'oro, che ha piazzato un nuovo scatto fulmineo negli ultimi giorni.

Cosa sta muovendo il prezzo dell'oro

Settimana scorsa il prezzo dell'oro era temporaneamente calato dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva deciso di congelare per 90 giorni le "tariffe reciproche" per alcuni partner commerciali. Tuttavia ci sono forti dubbi che durante questo periodo di tempo possono essere chiusi dei negoziati, visto che i primi approcci non sono stati infruttuosi.

La tensione con la Cina

Peraltro restano ancora in vigore i dazi contro la Cina, che anzi sono stati aumentati al 145% dopo che Pechino a sua volta aveva reagito alzando le proprie tariffe sui beni statunitensi. La tensione tra Washington e Pechino rimane altissima, e nemmeno i timidi segnali mandati dall'amministrazione USA sulla possibilità di negoziare finora hanno spento i timori di recessione per l'economia a stelle e strisce. Ad aggravare lo scenario sono i nuovi provvedimenti commerciali di Trump, che stavolta se l’è presa con le esportazioni di chip di Nvidia verso la Cina.

L'asset rifugio

Ciò che in questo momento alimenta la corsa del prezzo dell'oro è sicuramente il suo ruolo di bene rifugio per eccellenza, quello sul quale gli investitori si fiondano nei periodi di incertezza. Tale ruolo è stato perso sia dal dollaro che dai titoli di Stato USA, che almeno temporaneamente sembrano essere trattati dal mercato come prodotti rischiosi. Il biglietto vede viene penalizzato anche dai fornitori di segnali forex gratis in tempo reale.

Il mercato

Sul mercato delle materie prime il prezzo dell'oro ha superato anche la soglia dei 3300 dollari, dopo aver guadagnato oltre il 20% nel corso di questo 2025. L'indicatore RSI del lingotto segala nuovamente ipercomprato.
La marcia rialzista del metallo prezioso è alimentata anche dagli acquisti delle banche centrali e dalla prospettiva che ci saranno nuovi stimoli monetari da parte  della Federal Reserve (tassi di interesse più bassi sono favorevoli per il lingotto che non produce rendimento), soprattutto dopo che i dati sull'inflazione americana hanno mostrato un raffreddamento nel mese di marzo.

lunedì 14 aprile 2025

Tasse, due volte su tre a non pagare sono le grandi imprese

Un recente report pubblicato dall'ufficio studi della CGIA Mestre ha messo in evidenza un aspetto interessante riguardante le tasse in Italia. Nel 64,3% dei casi, la mancata riscossione da parte del fisco riguarda le persone giuridiche, ossia le imprese di maggiori dimensioni (che assumono la forma di Spa, Srl, consorzi, cooperative, etc).

I numeri della mancata riscossione delle tasse

L'analisi è stata condotta sui dati relativi all'intero millennio che stiamo vivendo. Ebbene in questi 25 anni il fisco ha reclamato inutilmente 1279 miliardi tra tasse, contributi, bollette, multe, etc. Di questa cifra, ben 822 miliardi sono in capo alle grandi aziende

Si tratta quasi del triplo rispetto alla somma che invece è stata inutilmente reclamata nei confronti delle persone fisiche (300 miliardi), e 5 volte la somma che invece riconducibile alle persone fisiche con attività economica (ossia artigiani, commercianti, esercenti, liberi professionisti, etc).
L'infedeltà fiscale sembra quindi essere soprattutto una prerogativa dei grandi contribuenti e non i piccoli, che invece sono più ligi al rispetto delle normative riguardo le tasse.

Il credito non riscosso dai lavoratori autonomi

Circa i lavoratori autonomi, bisogna inoltre aggiungere inoltre che c'è un carico residuo non riscosso che equivale a poco più della metà del dato riferito alle persone fisiche. E dire che normalmente, quando si parla di evasione delle tasse, una delle prime categorie che finisce sul banco degli imputati è proprio quella dei lavoratori autonomi. 

Anche se è vero che in questa categoria si nascondono anche molti che non adempiono agli obblighi fiscali, le statistiche ufficiali quindi raccontano che negli ultimi 25 anni solo 13 evasori su 100 hanno una partita Iva, e l'incidenza della loro evasione sul totale è appena del 12,2%.

L'evasione per zona territoriale

Per quanto riguarda la collocazione geografica delle sacche di evasione dalle tasse, il debito fiscale pro capite più elevato maturato in questi ultimi 25 anni è in capo ai residenti del Lazio con 39.673 euro. Seguono i campani con 27.264 euro e i lombardi con 25.904 euro. Il Nord è il territorio più virtuoso, con il Trentino Alto Adige in fondo alla classifica delle cifre non riscosse, appena 6.964 euro.

martedì 8 aprile 2025

Prezzi del petrolio, il crash dei giorni scorsi ha un precedente... sempre con Trump

La settimana scorsa è stata un vero e proprio disastro per il mercato petrolifero. L'impatto economico globale che potrebbe avere la battaglia commerciale innescata da Donald Trump ha infatti provocato un crollo dei prezzi del petrolio, che sono scivolati di oltre il 10%. Addirittura in una singola giornata la marcia indietro del prezzo è arrivata ad essere del 7%, evento rarissimo.

Il precedente negativo di Trump con i prezzi del petrolio

Ma quello al quale stiamo assistendo non è un caso isolato, perché ci sono altri esempi in cui la deviazione standard di volatilità del petrolio è stata enorme. Basta andare indietro di pochi anni per ritrovare una situazione simile. Per la precisione ad agosto 2019. Ed anche allora, come oggi, tutto nacque dalla minaccia tariffaria di Donald Trump, che all'epoca era all'inizio del suo primo mandato presidenziale. 

Il tycoon scrisse annunciò dazi del 10% su 300 miliardi di dollari di importazioni cinesi. Fece così sprofondare i mercati dal panico, facendo temere un rallentamento della domanda globale di greggio. I prezzi del petrolio crollarono del 7%, con il WTI che arrivò al 7,9% di perdite in un solo giorno.

Record nel periodo del Covid

Il capitombolo più forte dei prezzi del petrolio è stato registrato però durante la pandemia da Covid. All'inizio di marzo 2020, il fallimento dei colloqui tra i paesi produttori che fanno parte dell'Opec+ provocò un crollo verticale delle quotazioni. I prezzi del petrolio scivolarono quasi del 25% in un giorno, segnando il secondo maggior calo storico. 

Il primo sarebbe avvenuto appena un mese dopo, più o meno sempre per le stesse ragioni, e fu ancor più eclatante perché spinse i prezzi di Brent e WTI addirittura in territorio negativo, con un calo del 300 per cento in poche ore (si veda l'andamento storico su Pocket Option nuovo link).

I recenti capitomboli

La storia recente dei prezzi del petrolio è comunque caratterizzata da altri scivoloni scioccanti. Nel novembre 2021 la notizia di una nuova variante Omicron del covid provocò un calo superiore al 10% dei prezzi del petrolio, perché si temette di sprofondare nella crisi sanitaria.

I giorni nostri

Da quel giorno di tre anni e mezzo fa, il petrolio ha vissuto fasi altalenanti, durante le quali però non c'era mai stata una settimana così negativa come quella appena trascorsa. 
I dazi di Trump hanno innescato la paura di una recessione globale, che ovviamente porterebbe a un crollo della domanda di barili di greggio. Ma a peggiorare la situazione è stato il contemporaneo aumento della produzione programmata dall'Opec+. Due schiaffoni che sono giunti pressoché contemporaneamente, e che il mercato non ha saputo assorbire.